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Tanta miseria e poca nobiltà. È forse proprio questo l’unico racconto possibile del Rione Sanità di Napoli, a 50 anni dalla morte di Totò, il suo cittadino più illustre. Di nobiltà se ne vede sempre meno e di miseria sempre di più agli angoli dei vicoli che precipitano da Capodimonte a piazza Dante, dove i contrabbandieri di sigarette, ultimo anello della catena del disagio sociale, hanno ricominciato a mescolarsi agli spacciatori di cocaina e di eroina. Le notizie degli ultimi giorni hanno lasciato tutti esterrefatti.

Napoli, città sudamericana, città pericolosa, strana, ricca di storia con molto degrado!!! Difficile offrire alternative ai giovani, con una logica che l'ha resa famosa ovunque, ma che ormai non risulta simpatica più a nessuno: "fottersene e tirare a campare".


E in questo quadro appare Albanese, uno dei comandanti dell’esercito del bene, che appartiene a un gruppo non enorme ma sempre più largo di persone, organizzate da don Antonio Loffredo, prete di strada e guida della Basilica di Santa Maria della Sanità, che si è messo in testa di ribaltare l’irribaltabile, di sfidare la criminalità comune e organizzata, la stupidità della burocrazia e l’inerzia delle istituzioni, e di riscrivere una storia che va avanti identica da secoli. Lucida follia, che per trasformarsi in progetto efficace ha deciso di allearsi anche con la memoria di Antonio De Curtis, nato in via Santa Maria Antesaecula 109, il centro preciso della «guapperia» napoletana, e passato a miglior vita il 15 aprile del 1967. «Le celebrazioni per la sua scomparsa, che presenteremo domenica, saranno l’occasione per restituire al Rione un po’ dell’orgoglio di sé».  

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Il Rione Sanità: cinque chilometri quadrati con la densità abitativa di Macao, due scuole in tutto - una elementare e un istituto superiore con il secondo tasso di abbandono più alto d’Italia - nessuna banca, molti usurai, un teatro parrocchiale e zero cinema. I bassi e i palazzi del Settecento. Un paradosso complicato piantato nel centro della città, eppure periferia estrema, isolata, complicata da raggiungere, evitata da vigili e polizia, presidiata inutilmente dall’esercito e abitata da sessantacinquemila persone senza una palestra o un campo da pallone degno di questo nome. Camorra, baby gang, disoccupazione. «Dire che tutto questo non esiste, come tende a fare il sindaco De Magistris è becero negazionismo. E così non se ne esce. Abbiamo perduto occasioni enormi come il porto e Bagnoli e se la politica non interviene, prima con la repressione, poi con la riqualificazione urbanistica, non oso immaginare che cosa sarà di questa città tra dieci anni»

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Sostiene lo storico Isaia Sales che a Napoli l’integrazione economica e culturale sia stata resa impossibile dalla presenza di un vastissimo sottoproletariato e da un altrettanto grave e duratura questione criminale «dovuta all’accettazione delle attività illegali come parte integrante dei suoi equilibri economici». Ma la durezza di Albanese è giustificata dall’esperienza personale. Suo padre fu assassinato davanti al portone di casa nel 2005 da due balordi che gli rubarono i tremila euro appena ritirati in banca. «Gli spezzarono il collo. Non dico che sia la normalità. Ma non è neppure un’eccezione»
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Vincenzo Porzio, ha 31 anni, ed è uno dei ragazzi de La Paranza, la cooperativa che ha portato i visitatori delle catacombe da 6 mila a 80 mila l’anno. «Le vuole vedere?». Un posto favoloso. Che sembra un set teatrale. Gallerie di tufo alte sei metri, camminamenti e cubicoli che corrono tra le tombe. La città dei morti che parla con quella dei vivi. «Abbiamo completamente rifatto l’impianto di illuminazione. Ci siamo organizzati. Ci sono voluti tempo e pazienza. Ma i risultati sono arrivati. Prima i taxisti quando vedevano un turista gli dicevano: stai lontano dalla Sanità e dalle Catacombe, adesso gli consigliano di venire. Persone che poi scoprono il quartiere, le sue pizzerie, i suoi palazzi, che aiutano la nostra economia». Un lavoro fatto dai privati. Che oggi vorrebbero una mano dal pubblico. «Ma l’impressione è che per ogni soluzione la burocrazia crei un problema», dice Vincenzo.
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«La camorra è una cooperativa fondata sulla paura. Noi siamo una cooperativa fondata sulla fiducia. E ci ribelliamo all’idea che qualcuno continui a considerarci il bidone dell’immondizia di questo Paese. L’assistenzialismo non ci interessa. La collaborazione con le istituzioni sì. Perché qui il rischio è che il patto sociale salti definitivamente», dice Pasquale Calemme presidente della Fondazione San Gennaro. «Cultura, capitale umano e innovazione. Queste sono le nostre linee guida. La sfiducia nelle istituzioni e la povertà ti spingono verso altre strade. C’è bisogno di un grande sforzo collettivo».

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Lungo la strada che dall’ospedale in dismissione del Rione porta fino a via Toledo, un gruppo di ragazzini decenni dà fuoco a un bidone della spazzatura. Arriva una jeep dell’esercito. Esce un militare. Dice: che fate? Quelli ridono. Il più piccolo prende un cartone e lo butta nel fuoco. Se ne frega del soldato. La fiamma si allarga. I passanti ignorano la scena, forse condizionati da una scritta sul muro che dice: fatevi i cazzi vostri. Due turisti inglesi entrano in una pizzeria. C’è la margherita miseria e nobiltà. Trequarti ricca - funghi, salsiccia, prosciutto - un quarto solo pomodoro. Il menù è bilingue. Segno che un po’ di turismo arriva davvero. 

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E sarà proprio dedicato a Totò, a cinquant'anni dalla sua morte, il Maggio dei monumenti napoletani del 2017. Al centro di  " 'O maggio a Totò " ci sarà il suo quartiere, la Sanità, che si sta già mobilitando per l'occasione. Protagonista, tuttavia, sarà l'intera città, con un pensiero particolare ai giovani. Tra i giovani e i giovanissimi Totò è popolare come se fosse un loro contemporaneo, un personaggio dei tempi attuali, e forse proprio loro possono dare il contributo più originale per la riscoperta di un personaggio dalle mille sfumature.
"Non sarà una commemorazione - dice l'assessore al turismo - che il nostro Totò avrebbe forse scongiurato con un gesto scaramantico o sbeffeggiato con una delle sue battute surreali, e nemmeno una riscoperta, perché sull'immagine di Totò questi cinquant'anni sono passati rapidi e leggeri, senza cancellarla, senza nemmeno sbiadirla, così forte e viva è la sua presenza nell'immaginario, nel linguaggio, nella cultura napoletana e non solo".