venerdì 29 aprile 2016

Il rosmarino




 (foto da internet)

Il rosmarino (Rosmarinus officinalis) è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Originario dell'Europa, Asia e Africa, è ora spontaneo nell'area mediterranea nelle zone litoranee, e nella macchia mediterranea, dal livello del mare fino alla zona collinare. È noto in Toscana e in altre regioni col nome di Ramerino, alterazione popolare di rosmarino per raccostamento a ramo. 
La pianta arbustiva del rosmarino raggiunge altezze di 50–300 cm, e le foglie sono lunghe 2–3 cm e larghe 1–3 mm, addensate numerosissime sui rametti; di colore verde cupo lucente sulla pagina superiore e biancastre su quella inferiore per la presenza di peluria bianca. Il rosmarino si può coltivare facilmente in vaso sui terrazzi. Si semina in aprile-maggio, e ha il rigoglio di vegetazione e le fasi vitali in tardo autunno o in inverno, ed in primavera. Il rosmarino viene utilizzato come pianta ornamentale nei giardini, nell'industria cosmetica come shampoo per ravvivare il colore dei capelli o come astringente nelle lozioni; nelle pomate e linimenti per le proprietà toniche. 


 (foto da internet)

In profumeria, l'olio essenziale ricavato dalle foglie, viene utilizzato per la preparazione di colonie, come l'Acqua d'Ungheria. Nell'uso farmacologico comune l'olio viene usato come antisettico sedativo, ed i suoi preparati contro gli stati depressivi, restituendo vigore intellettuale e fisico alle persone indebolite. 
La leggenda vuole che chi infila un rametto di rosmarino nella tasca dell'amato che si allontana lo aiuta a ricordare le sue promesse. Addirittura Shakespeare, nell'Amleto, fa dire a Ofelia: "ecco del rosmarino, è per la rimembranza".
Orbene, il professor Mark Moss, capo del Dipartimento di psicologia della Northumbria University ha portato a termine un esperimento mediante il quale ha voluto capire se l'antico sapere nascondesse una verità scientifica. I risultati presentati confermano che il rosmarino può essere considerato davvero l'erba della memoria: infatti, annusarne l'aroma migliora i ricordi. Gli scienziati hanno studiato 150 pensionati posti in una stanza in cui era stato diffuso l'aroma di rosmarino, quello di lavanda o nessuno. 




(foto da internet)
 
Gli anziani sono stati sottoposti a un test di memoria, mostrando risultati migliori del 15% coloro i quali avevano respirato profumo di rosmarino invece che lavanda o nessun aroma. Per Moss quando inaliamo i componenti dell'aroma di rosmarino, questi vengono assorbiti nel sangue attraverso il passaggio dai polmoni e arrivano al cervello dove agiscono sulla chimica dei neuroni. Cosicché i detti della saggezza popolare, che si sono tramandati di generazione in generazione, possono essere basati sull'osservazione di determinati comportamenti, notando, ad esempio, che il rosmarino aiutava a ricordare. 



 (foto da internet)

Il rosmarino viene largamente utilizzato in cucina. Qui ricordiamo il magnifico pane di ramerino di tradizione fiorentina, un panino morbido e dolce fatto con pasta di pane, uva sultanina (zibibbo) e rosmarino. È tradizione mangiarlo il Giovedì Santo, quando i forni di Firenze e del territorio lo vendono già benedetto dai parroci dei dintorni. Oggigiorno si trova facilmente in qualsiasi epoca dell'anno. Ecco a voi la ricetta (leggi>>). 
Buon appetito! 

mercoledì 27 aprile 2016

La birra artigianale italiana

(foto da internet)

Pizza, pasta e mozzarella restano insuperabili. Ma da qualche anno l’Italia è diventata leader in Europa con un’altra eccellenza alimentare: la birra. Sembra strano, ma tedeschi e inglesi sono quelli che apprezzano di più. A una condizione: niente produzione industriale, ma rigorosamente artigianale. Il business, anche se ancora in processo, ha già raggiunto il dieci per cento di un mercato storico come quello del vino. «L’enologia assicura ogni anno un giro d’affari di circa cinque miliardi, possiamo dire che la birra raggiunge più o meno quota cinquecento milioni – spiega Angelo Sanna, un sardo che fa arrivare a Londra le migliori produzioni italiane – Le regioni che si sono conquistate le fette di mercato più ampie sono il Veneto e il Piemonte, poi c’è la nostra isola. Il leader nazionale è Teo Musso: ha iniziato nel 1977 in provincia di Cuneo e ora vende in tutto il mondo».


(foto da internet)

(foto da internet)


Sembra strano, ma la Sardegna da bere è nota nel mondo non solo per il cannonau. La birra dell’isola frutta già fatturati apprezzabili ed è arrivata molto lontano. In Australia, per esempio, la servono in un locale specializzato e molto ben frequentato. Esportazioni a parte, anche il consumo da queste parti è da record: ogni sardo, bambini e anziani compresi, beve 61,7 litri all’anno. Quasi il doppio rispetto alla media nazionale, che non supera i 30 litri a testa. Affari e passione vanni di pari passo e la bionda in questi giorni si è meritata una grande festa, nello scenario incantevole del centro storico di Bosa. Le produzioni artigianali della Sardegna ottengono premi e richiamano l’attenzione di super esperti come Rod Jones, “Somellier of the Year” dell’Accademia inglese della birra. « In questo momento l’Italia è leader in Europa nel settore dei microbirrifici. La tradizione di qualità italiana, già messa nel vino, viene fuori anche nella produzione di birra. Viene premiato l’impegno dei produttori. Nel mondo del bere è in atto una vera rivoluzione che parte dal basso, con il consumatore che sempre più chiede un prodotto artigianale e nel contempo rifiuta il prodotto industriale».


Le industrie l’hanno capito e ora tentano di cavalcare l’onda, rilevando i piccoli stabilimenti per continuare ad avere il controllo del mercato. «Per far crescere il nostro giro d’affari dobbiamo puntare a usare il nostro grano e produrre il nostro luppolo e il nostro malto – dice Angelo Sanna – La birra, tra l’altro, può essere anche un’attrazione e il Beer Fest di Bosa è la prova dell’interesse che ci cresce intorno. In Germania e Belgio ci sono due città che basano la loro economia sul turismo della birra. Noi dobbiamo far crescere la produzione per potenziare l’esportazione. Da noi non c’è una grande tradizione, ma il nostro prodotto è apprezzato. Forse un italiano non mangerebbe la pizza in America, ma tedeschi, inglesi e irlandesi amano molto la birra italiana»

lunedì 25 aprile 2016

Giornata mondiale del libro (Sant Jordi) in Sicilia




 (foto da internet)

Per festeggiare, a modo nostro, la Giornata Mondiale del libro, vi proponiamo un itinerario (libresco) che lega, in qualche modo, i nostri paesi: il Castello di Donnafugata.
Si trova a  circa 20 km da Ragusa, in Sicilia, e fu fatto edificare sulla vecchia struttura di una torre duecentesca dal barone Corrado Arezzo nell' '800. Il barone ne fece ingrandire la struttura iniziale che divenne una vera e propria dimora gentilizia. Il nome Donnafugata deriva dall'arabo Ain-jafat e significa Fonte di salute.
La leggenda vuole che il Castello sia indissolubilmente legato a una donna che vi fu rinchiusa. Si tratterebbe, infatti, della regina Bianca di Navarra che venne imprigionata, dal conte catalano (Bernat) Bernardo Cabrera, signore della Contea di Modica, in una stanza dalla quale riuscì a fuggire attraverso le gallerie che conducevano nella campagna circostante. Da qui il nome dialettale Ronnafuata, e cioè donna fuggita



(foto da internet)
 
Il Castello e il conte Cabrera, astuto e malvagio, entrarono nell'immaginario popolare e divennero oggetto di una serie di storielle tramandate oralmente. 
Si diceva, ad esempio, che il conte vi nascondesse un tesoro consistente in una capra d’oro, la quale sarebbe saltata fuori dal luogo in cui era nascosta dopo un complicato incantesimo
Si raccontava inoltre, che costui uccidesse chi lo ostacolava e soprattutto i suoi nemicitra i quali ci fu la principessa Bianca di Navarra. In realtà, è documentato che la principessa non mise mai piede nel Castello dato che ai suoi tempi (visse a cavallo tra il XIV e il XV secolo) il palazzo non era ancora stato edificato. L'edificio occupa un'area di circa 2500 metri quadrati  e si snoda in 122 stanze.


 (foto da internet)
 
La facciata del Castello è gotica orlata di merli ed è caratterizzata da finestre in stile gotico. Si possono ammirare gli otto finestroni bifori che danno su un'ampia terrazza delimitata da una balaustra coronata da otto vasi. Due modeste torrette circolari completano la prospettiva. L’interno ha stimolato la fantasia di numerosi registi che più volte hanno trasformato il castello in un set cinematografico. 
Tra questi ricordiamo Luchino Visconti che qui girò Il Gattopardo (la famosa scena del valzer, danzato dal Principe Don Fabrizio di Salina -Burt Lancanster- e Angelica Sedara -Claudia Cardinale-, entrò a far parte della storia del cinema) film tratto dall'omonimo libro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
 
 
 
 
(foto da internet)
 
 Il parco del Castello è caratterizzato da maestosi ficus e piante esotiche, statue, fontane, stemmi araldici, vasi di terracotta, sedili in pietra, grotte artificiali e la cupola sul cui soffitto è disegnato il firmamento. Da non perdere il Pirdituri, e cioè labirinto in pietra ragusana che il barone Corrado Arezzo fece edificare a forma trapezoidale per riprendere il labirinto inglese di Hampton Court



(foto da internet)
 
Il regista Matteo Garrone scelse questa location per girare parte del suo film Il racconto dei racconti, ispirato liberamente a Lo cunto de li cunti, la raccolta di fiabe più antica d’Europa, scritta fra il 1500 e il 1600 in lingua napoletana da Giambattista Basile.
Buona lettura e buon viaggio!

venerdì 22 aprile 2016

Quistu




Riprendiamo la nostra rubrica dedicata ai connazionali che vivono e lavorano nella nostra città. 
Nel Carrer de la Nau 20 di Valencia, a poca distanza dal bellissimo edificio rinascimentale dell’Università, si trova Quistu, un originalissimo negozio (ma forse è riduttivo chiamarlo solo in questo modo) gestito da due ragazzi italiani: Sara Carbone e Andrea Agostani.
Quistu si occupa di Arte e Design (ma non solo) per identificarsi, per divertirsi e per sentirsi bene.
Nasce da una scelta di vita dei due proprietari che decisero di lasciare Milano per iniziare un'avventura nella nostra città, alla ricerca di in un luogo più vivibile. Scelsero Valencia, di cui parlano con sincero entusiasmo: attratti specialmente dall’arte, dall’illustrazione, dal design e dai giovani talenti.


 
Quistu è anche e soprattutto passione per il sentimento estetico, e vuol essere una proposta di stimolo per la propria mente, un invito a coccolare se stessi o a regalare semplicemente qualcosa di bello.
Sara e Andrea sostengono che un colore, un profumo, un buon vino, le forme e le figure che ci circondano, e di cui ci circondiamo, influenzano la nostra giornata e il nostro essere. Non sono una necessità biologica primitiva, bensì un bisogno della psiche.
Il nome del negozio è in latino: Quis (es) tu? significa, infatti, Chi sei?; da qui deriva il concetto chiave dell’iniziativa: identificarsi.

 
Lo spazio Quistu rappresenta il recipiente in cui incontrare idee per differenziarsi dalla massa, per non omologarsi, ma soprattutto cose che piacciano, a proprio gusto. Semplicemente questo. La bellezza sta, dunque, nella semplicità del concetto.
In Quistu si trovano idee per tutti i gusti e per tutte le tasche. Dalla linea di gioielli artigianali ai vestiti, unici e lavorati a mano, dal vino al mobile di design, dalla luce all'opera di illustrazione, dagli aromi per ambiente all'oggetto di decorazione e tanto altro.
Quistu non è solo un negozio, è una vetrina per tutte le idee originali, un atelier in cui i clienti possono incontrare gli artisti e vederli all'opera, uno spazio eventi in cui scambiarsi opinioni e conoscere di volta in volta concetti e prodotti differenti. Un'esperienza di divertimento e di stimolo, un po' diversa dal solito.

 
L'esperimento di vita e di lavoro che nasce dall'unione tra il gusto milanese dei proprietari e la effervescenza artistica e culturale della realtà valenzana crea uno spazio continuamente in movimento che può offrire unicità e colore alla vita quotidiana.
Sara e Andrea hanno fatto una scelta di vita: hanno abbandonato i ritmi frenetici di Milano e hanno adottato, da subito, i tempi della nostra città. Amano chiacchierare con il pubblico, coccolarlo, ascoltarlo, confrontarsi. 
Un posto davvero interessante in cui i nostri studenti avranno la possibilità di fare quattro chiacchiere in italiano e di avere delle agevolazioni sui prodotti di Arte e Design.
In bocca al lupo!

mercoledì 20 aprile 2016

Il falso made in Italy

(foto da internet)

Mentre l'economia globale stenta e ristagna, quella del falso tira alla grande: in cinque anni, dal 2008 al 2013, ha più che raddoppiato il suo giro d'affari, stima l'Ocse sulla base dei sequestri operati alle dogane. 
 L'Ocse calcola, infatti, che i beni contraffatti o piratati abbiano generato, nel 2013, scambi fino a 461 miliardi di dollari. Più o meno quanto valevano, nello stesso anno, le esportazioni (legali) di un Paese di prima fila nel commercio mondiale, come l'Italia. O il prodotto interno lordo di un Paese di media grandezza: i falsi valgono quanto tutto quello che in un anno produce l'economia austriaca, dalle vacanze sugli sci in Tirolo al festival di Salisburgo. 

Nessuno, ormai, smercia falsi alla vecchia maniera. L'industria della contraffazione è globale, agile, tecnologicamente aggiornata, logisticamente ramificata nel mondo, saldamente installata sul web, dotata di un catalogo merci pressoché inesauribile. 

(foto da internet)


Il problema è che i sequestri sembrano tanti: gli economisti dell'Ocse e della Ue che hanno redatto lo studio ne hanno analizzati oltre 100 mila l'anno. Ma il giro d'affari ormai è molto più ampio. Meno di un articolo falso su dieci arriva alla dogana nel cassone di un camion. Il 60 per cento viene elegantemente recapitato per posta o per corriere, in un piccolo pacchetto dedicato, nella ragionevole convinzione che i doganieri non possano aprire tutti i piccoli pacchetti sospetti, confusi tra i milioni che l'e-commerce distribuisce nel mondo. Anche per conto, infatti, dell'industria della contraffazione che, ormai, opera quasi esclusivamente via web. E via web vi vende scarpe Nike, occhiali Ray Ban, borse Louis Vuitton, orologi Rolex, i quattro prodotti che sono le star del falso. 



(foto da internet)

Con un'accorta strategia di marketing. Perché, come le aziende più sofisticate, i falsari distinguono i mercati e adeguano i prezzi. C'è un mercato primario, in cui il falso viene presentato come il prodotto vero e il prezzo si avvicina, con la sola differenza di uno sconto appetibile, ma credibile. E c'è un secondario, in cui nessuno bara, tutti sanno che stiamo trattando roba che sembra vera, ma non lo è, e il prezzo precipita di conseguenza. Lo si capisce dal valore dichiarato alla dogana per la merce sequestrata.


(foto da internet)


Lo stesso paio di Nike, infatti, può costare - a seconda che il falso sia confessato o no - dai 5 ai 200 dollari. I Ray Ban da 5 a 150. Una borsa Louis Vuitton da 5 a 1.500 dollari. Da 5 a 20 mila dollari un orologio Rolex. Ma questi prodotti sono solo la punta dell'iceberg. I falsari smerciano di tutto. A scorrere la lista dei sequestri, soprattutto scarpe, abbigliamento e pelletteria. C'è, però, anche un fiorente mercato di falsi business-to-business. Ovvero, aziende che comprano macchinari, prodotti chimici, strumenti ottici ed elettronici, parti di ricambio contraffatte. Qualche volta sapendolo e risparmiando sul prodotto. Qualche volta, no. E tirano anche i prodotti di ogni giorno: giocattoli, medicine, cosmetici, profumi. Ci sono anche merci del tutto insospettabili. Sotto sequestro, dicono i registri, finiscono spesso anche fragole, banane, olio di cocco. In questi casi, le fragole sono vere. Ad essere falsa è la provenienza.


(foto da internet)


Nella sostanza, dovunque ci sia un brevetto c'è il rischio della contraffazione. Il Paese i cui prodotti vengono più spesso falsificati sono gli Stati Uniti, a cui fa riferimento il 20 per cento dei sequestri. Ma una sorta di premio alla qualità e all'unicità tocca all'Italia che viene subito dopo, con il 14,6 per cento dei sequestri. Prima della Francia (12,1 per cento). Ma, nella sua ascesa al rango di economia moderna, anche la Cina conquista un posto nella classifica dei piratati e contraffatti, con l'1,3 per cento dei sequestri.



(foto da internet)

Di solito, orologi, scarpe e pelletteria vengono dalla Cina o da Hong Kong. Profumi e abbigliamento dalla Turchia. Ma un posto di riguardo tocca all'isola di Tokelau, nel mezzo dell'Oceano Pacifico, 10 chilometri quadrati e 1.400 abitanti. Il suo segreto è il commercio via web. Occhio dunque alla roba che arriva dai siti ".tk".

lunedì 18 aprile 2016

Merda (e altro)


 (foto da internet)


In italiano ci sono alcuni modi di dire con il vocabolo merda:

essere nella merda: significa avere un grosso problema;
fare una figura di merda: significa fare una figuraccia; spalare merda: vuol dire fare un lavoro faticoso e 
valere meno di una merda: significa essere di poco valore. 
Il termine in questione proviene latino mĕrda e viene usato anche come espressione di indignazione, collera o anche di netto rifiuto: merda! (per influsso del francese merde!). 
Lasciamo un momento la linguistica e parliamo di 5 VIE Art + Design, un’Associazione culturale no-profit che ha come obbiettivo il rilancio del centro storico di Milano. L’Associazione porta avanti un'azione di coordinamento tra i diversi attori presenti nell'area.
5VIE Art+Design è un progetto di marketing territoriale e culturale che raccoglie risorse ed energie dedicate al rilancio del centro storico del capoluogo lombardo, attraverso nuove modalità di partnership pubblico-privato per una pianificazione strategica delle politiche urbane e territoriali.



(foto da internet)
5VIE ha l’obiettivo di promuovere il rilancio della zona tramite nuove strategie di comunicazione e di sviluppo sostenibile capaci di stimolare la partecipazione attiva della comunità e dei professionisti che la vivono, sostenere e sviluppare un forte network per mettere a sistema competenze  e opportunità nel rispetto della molteplicità di attori che animano l'area.
5VIE è stato inaugurato durante la cosiddetta Design Week 2014 con grandissimo successo, forte partecipazione di pubblico e grande riscontro di stampa nazionale ed internazionale. 
Nell'edizione di quest'anno, 5VIE ha ospitato una mostra al Siam (la Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri) molto interessante: “The shit Evolution. The Primordial Products of the Shit Museum”.  


(foto da internet)
Così, su due piedi, potrebbe colpire il lettore/visitatore, ma direttamente dal Museo della Merda di Castelbosco in provincia di Piacenza, si può visitare un efficiente progetto frutto del dialogo tra il proprietario di un’azienda che produce Grana Padano, Gianantonio Locatelli, e l’architetto Luca Cipelletti, che cura questa mostra milanese. 
Lo stabilimento di Castelbosco ospita 2.500 bovini di razza selezionata che producono quotidianamente 300 quintali circa di latte e 1.000 di sterco. Una quantità di merda la cui gestione ha trasformato in un progetto ecologico e industriale avveniristico.



(foto da internet)

Dallo  sterco si ricava metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni con sistemi di nuova concezione che oltre a ridurre l'inquinamento atmosferico e la distribuzione di nitrati nel terreno, seguono un principio che ridisegna il ciclo della natura in un circolo virtuoso. Dando alla merda il valore che ha e restituendo ad agricoltura e allevamento l'importanza di sempre.
Il Museo della Merda è un’agenzia per il cambiamento, un istituto di ricerca e di raccolta di fatti, documenti e informazioni sugli escrementi nella cultura, nella tecnologia, nella scienza e nella storia: sintesi del circolo più virtuoso che ci sia, il massimo di innovazione, sostenibilità, sfruttamento e al tempo stesso esaltazione della natura. 
La mostra milanese dedicata alla merda è ubicata nel sotterraneo del palazzo rinascimentale di una scuola che ha precisamente lo scopo di unire tecnologia, ecologia e cultura. 





(foto da internet)

Il Museo della merda di Castelbosco contestualizza, nella  mostra, una sua prima collezione di prodotti: mattonelle, piatti, brocche e vasi che utilizzano lo sterco. Vi si presenta anche una serie di video che combinano alcune sequenze cinematografiche a tema –Il fantasma della libertà di Luis Buñuel– a spezzoni che Henrik Blomqvist ha ripreso sul funzionamento dello stabilimento piacentino. Un circolo fra arte, natura, progetto, rifiuto e riuso.
Allora, come si direbbe a teatro, tanta merda!







venerdì 15 aprile 2016

Un racconto (nel racconto)

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(foto da internet)
Un recente studio sociologico-letterario realizzato in Italia, ha stilato una specie di classifica degli oggetti che gli amanti dei libri usati hanno trovato, per caso, all'interno di un libro acquistato su una bancarella, al mercato delle pulci, su internet o in librerie specializzate.
Al primo posto ci sono i biglietti: tram, metropolitana, treno e musei in testa. Ma qualcuno ha dimenticato anche qualche biglietto aereo. In questo gruppo, sembra che i biglietti della metropolitana siano i segnalibro preferiti da chi decide di mettere in vendita un libro. 



 (foto da internet)


La medaglia d'argento spetta, invece, alle cartoline,
quelle che una volta si scrivevano dalle vacanze e che forse accompagnarono la lettura sotto l'ombrellone o su una comoda sdraio. Francobollo, testo ed immagini di tempi andati che ci legano alla vita del vecchio proprietario del libro.
Al terzo posto troviamo gli scontrini. La carta di pessima qualità, e ingialliti dal tempo, forse accompagnarono una lettura frettolosa in attesa di qualcuno, o forse sono tuttora la cosa più a portata di mano che troviamo in tasca e infiliamo in un libro che stiamo leggendo nei ritagli di tempo, in una sala d'attesa, in autobus...




(foto da internet)
In fondo alla classifica ci sono le banconote. Biglietti di altri paesi di poco valore, ma anche le care vecchie lire. I primi dimenticati nei libri acquistati all'estero e che formano una specie di insieme indissolubile col libro.
A pari merito troviamo i fiori secchi. Colti chissà dove, forse suggellarono un dono a una persona amata, o forse furono un improvvisato segnalibro o una postilla delicata su una pagina particolare di letteratura e di vita.
Sarebbe interessante, però, studiare anche le dediche, le firme, le postille e le osservazioni che, ogni tanto, emergono dalle pagine dei libri usati.
Insomma, piccole storie all'interno di altre storie che forse meriterebbero, da sole, un racconto a sé. Chissà.

mercoledì 13 aprile 2016

Una carbonara perfetta


(foto da internet)

Per un italiano è un motivo di orgoglio, per gli stranieri una ricetta misteriosa, spesso "maltrattata" con ingredienti che non hanno nulla a che vedere con la sua ricetta originale. Di cosa parliamo? Della pasta alla carbonara, una delle ricette più storpiate, malinterpretate e vituperate fuori (e dentro) i confini italiani. Ma è anche una delle più amate. 

La maggior parte dei ricettari, autorevole s'intende, non ne testimonia la presenza sino al 1930, il che confermerebbe la sua nascita recente. Ma tra le possibili versioni della sua origine, si crede a una stretta parentela con gli Stati Uniti: si inizia a vederla menzionata dopo la liberazione di Roma del 1944. Forse fu proprio in quel periodo che comparve il bacon (pancetta affumicata) insieme alle buste liofilizzate di uova portate dalle truppe USA.
Ma i più nazionalisti - e romantici - non sono d'accordo. Secondo loro la carbonara sarebbe l'evoluzione del "cacio e ova", di impronta laziale e abruzzese, e prenderebbe il nome dai boscaioli che andavano sugli Appennini a fare carbone con la legna. Di certo nessun esperto di ricette tradizionali userebbe bacon o la pancetta (entrambi ricavati dal ventre dell'animale). Importante, la vera ricetta prevede il guanciale, proprio la guancia del suino, con alta quantità di muscolo e bassa quantità di grasso pregiato.

(foto da internet)

A parte le diatribe in terra straniera, la ricetta crea dibattiti anche tra i cuochi e i gourmet di casa: uovo intero o solo tuorlo, pecorino romano o Parmigiano Reggiano, aglio, cipolla o niente? Un minimo accordo tra la vecchia guardia della cucina tradizionale italiana si trova sul vecchio e autorevole ricettario di Anna Gosetti della Salda: decreta un rigoroso no alla presenza della panna, per il resto sono ammesse alcune varianti non sostanziali. 

(foto da internet)

Il formato della pasta deve essere lungo, le uova vanno sbattute a parte – meglio se solo il  tuorlo – il pepe dev’essere fresco e macinato al momento: in questa ricetta, infatti, non è un semplice condimento ma un ingrediente di base. Attenzione anche a scongiurare il pericolo “frittatina”, rischio di ogni cuoco in erba e dei foodies alle prime armi: questo si crea quando l’uovo entra in contatto con una temperatura superiore ai 75°, i gradi della coagulazione. Meglio amalgamare gli ingredienti fuori dal fuoco.


(foto da internet)

In Italia sono tanti gli chef blasonati che non hanno saputo resistere al fascino del piatto. Una delle carbonare più celebri è quella di Luciano Monosilio, chef del ristorante Pipero al Rex di Roma, che proprio a lei deve parte della sua fama. Gli ingredienti sono il guanciale, i tuorli e un mix di Parmigiano e pecorino, ma  il vero segreto è una sorta di zabaione salato ricavato dal composto di uova e formaggio:  prima lo sbatte con una frusta a freddo, poi trasferisce la boulle a bagnomaria e continua a montare il composto. L'ultima sua raccomandazione è lasciare i cubetti di guanciale ben croccanti.
Heinz Beck, chef de La Pergola (tre stelle Michelin a Roma) la prepara avvolgendo gli ingredienti in un fagottino di pasta; Davide Scabin nasconde la quintessenza di carbonara in un dosatore - dopo aver stabilizzato le uova a 75 gradi, la versa sugli spaghetti con non chalance, come fosse uno schizzo di ketchup. 


(foto da internet)


Ricapitolando: Come si fa la vera pasta alla carbonara?
1. La ricetta originale prevede l'utilizzo del guanciale (tagliato a listarerelle non troppo fini e messo a rosolare fino a che non diventa croccante) e non della pancetta; 
2. Mettere in una ciotola e sbattere quattro tuorli d'uovo, un uovo intero, il pecorino (non il grana) grattugiato, il sale e il pepe, aggiungere il guanciale appena fatto e mettere a riposare il composto in una ciotola; 
3. Dopo aver cotto la pasta (ricordate che è preferibile pasta lunga) metterla nella ciotola con un po' di acqua di cottura, in modo da non avere un composto troppo denso (visto che il calore della pasta appena cotta fa addensare il composto. Però non fatelo troppo liquido!!! Insomma in medium stat virtus). 
4. Tocco finale: aggiunta di altro pecorino grattugiato e fresco e un ulteriore pizzico di sale. 

lunedì 11 aprile 2016

BARcollo ma non mollo (e altre insegne)




(foto da internet) 
Il calembour, prestito linguistico della lingua francese, è una freddura fondata su un gioco di parole, risultante per lo più dalla contrapposizione o dall’accostamento di parole omografe o polisemiche o dalla sostituzione, in una frase nota, di una parola con altra di suono simile ma di significato molto diverso. Ma facciamo un passo indietro negli anni: nel 1989, uscì in Italia la rivista satirica Cuore, un settimanale che all’inizio apparve come inserto del quotidiano L’Unità, per poi posteriormente staccarsene. Fu diretta, tra gli altri, da Michele Serra, e chiuse i battenti nel 1996.


(foto da internet) 

In essa c'era un piccolo spazio, intitolato Botteghe Oscure. Era una sezione fotografica, in cui venivano raccolte le immagini inviate dai lettori che fotografavano i negozi dai nomi più assurdi. Per chi non conoscesse bene Roma -e la storia della Repubblica italiana- va detto che via delle Botteghe Oscure è una via del centro della capitale che unisce Via dell'Aracoeli con Piazza Calcarari, a pochi passi da Piazza Venezia.
Deve il suo nome alle numerose attività commerciali e artigiane prive di finestre, quindi oscure (Ad Apothecas Obscuras), che durante il Medioevo avevano sede tra le rovine del Teatro di Balbo.
Nel dopoguerra diventò nota per la sede del Partito Comunista Italiano (il cosiddetto Bottegone) al numero civico 5.




(foto da internet)


Recentemente, la trasmissione di Radio Rai2 I provinciali, con Pif e Michele Astori, ha ripreso questo tema e ha chiesto agli ascoltatori di inviare le loro segnalazioni. 
Il risultato è un florilegio che spazia dal trash, al calembour geniale, dall’insegna incomprensibile fino al comico non voluto (guarda>>).
Si va dalla ditta Tarlo Magno, che si occupa di mobili e legno, ai latinisti (sic!) di Scarpe diem, negozio di calzature; e poi ancora Distinti salumi, rinomata salumeria, e la farmacia del dottor Moribondo
Buon divertimento!

venerdì 8 aprile 2016

Il giardino de La Mortella





(foto da internet)
Chi si reca a Ischia non può non visitare lo splendido giardino de La Mortella, l'oasi tropicale gestita dalla fondazione Walton a Forio, una delle meraviglie della flora mediterranea.
Il Giardino è aperto al pubblico esclusivamente da aprile a metà novembre,  e solo in alcuni giorni della settimana: martedì, giovedì, sabato e domenica.  
In esso si può ammirare la bellezza della natura allo stato puro, dai giochi d’acqua delle fontane, allo spazio immenso che si apre all’improvviso verso il mare infinito. 



(foto da internet)
In questo ambiente particolarissimo, foglie e fiori si avvoltolano e si rincorrono, diventando così delle vere e proprie statue vegetali, architetture improvvisate, come i tronchi degli alberi che si torcono su se stessi, in virtuosismi tridimensionali. 
Il trionfo dei colori si abbina alla musica, dato che il Giardino de La Mortella è nato proprio per ispirare il genio di William Walton. Il compositore inglese amava, infatti, questi luoghi e qui volle creare per sé, e sua moglie Susana, una dimora dove trascorrere giorni lieti. 



(foto da internet)
Il primo nucleo dei giardini de La Mortella nacque dunque come luogo privato, e solo successivamente il parco venne aperto al pubblico e ampliato. Chi visita i giardini, può facilmente rintracciare il filo che lega una grande storia di amore alla musica. Susana Walton creò, posteriormente, il grande anfiteatro all’aperto dove, in estate, si svolgono concerti sinfonici sotto le stelle per grandi orchestre. 
Il nome del giardino è il nome del mirto divino o Myrtus communis, pianta che spunta con grande abbondanza tra le rocce sulla collina. Nel giardino si trovano collezioni di piante provenienti da diversi paesi. Nel 1956 l'architetto Russell Page disegnò l’impianto del giardino integrandolo fra le pittoresche formazioni rocciose di origine vulcanica. 



(foto da internet)
La Mortella è divisa in due parti: una più bassa detta Valle, ed una superiore: la Collina. Il giardino  si estende per un'area di circa 2 ettari ed ospita una raccolta di più di 3000 specie di piante esotiche e rare. Tutto il giardino è arricchito da fontane, piscine, corsi d’acqua che permettono la coltivazione di una collezione di piante acquatiche come papiro, fior di loto e ninfee tropicali.
Le varie zone sono connesse con viali, sentieri, scalette e muri a secco, che di terrazza in terrazza spingono il visitatore in alto fino alle splendide vedute sulla baia di Forio
Il giardino ha la forma di una L, il cui braccio più lungo è percorso da un rivolo d’acqua, mentre quello più corto si trova dirimpetto casa Walton.   Nel mese di aprile tutta la Valle è rallegrata dalla fioritura del Geranium maderense, dall’isola di Madeira, che incanta con le sue ombrella di fiori rosa-purpurei. 



(foto da internet) 

Il giardino superiore fu disegnato e sviluppato da Lady Walton dal 1983, anno della scomparsa del maestro. Mentre il giardino a Valle è chiuso, intimo, umido e lussureggiante, la Collina è solare, invece, aperta verso il mondo esterno, ricca di vedute e coperta da una vegetazione mediterranea. 
Sul ciglio della collina, in una posizione che domina non solo il giardino ma tutta la baia di Forio, si trova la Roccia di William, che custodisce le ceneri del maestro. 
Si tratta di una piramide naturale di pietra in cui è stato realizzato, tra gli ulivi, un arco di pietra intagliata. Nel punto più alto del giardino, si trova un padiglione thailandese e uno stagno con piante di loto: un luogo di meditazione e di quiete, isolato dal mondo circostante, dove una leggera brezza fa risuonare delle campane augurali.  
Buon viaggio!