venerdì 11 marzo 2016

Il Sofartcafè

 
 (foto Sofartcafè)
 
Riprendiamo la nostra rubrica dedicata ai connazionali residenti a Valencia. A due passi dal Mercat Central di Valencia, in via Músico Peydró 7, ha sede il Sofartcafè, un locale davvero differente.
Che cos’è il Sofartcafè? La definizione dataci dai proprietari è la seguente: libreria del gusto e del tempo perso.
Quindi, è un nuovo concetto di libreria ma anche un insieme di luoghi da vivere in maniera circolare in cui fare esperienze di cultura legate ai libri, all'enogastronomia e all'arte.
Il locale, ispirato al modello anglosassone More Than Books, offre una libreria contemporanea, e vuol essere un laboratorio di idee nell'ambito della cultura in maniera assai versatile, pronto a rinnovarsi, reinventarsi e ridefinirsi continuamente.
Il Sofartcafè organizza esposizioni d'arte, laboratori didattico-creativi per bambini e adulti, micro-teatro, proiezioni di pellicole, degustazioni di vini e formaggi delle migliori cantine e aziende agricole, così come di altre eccellenze enogastronomiche italiane. 
 
 
(foto Sofartcafè)
 
Il locale propone una cucina legata alla tradizione che utilizza materie prime semplici che variano settimanalmente per dare la possibilità di far conoscere al pubblico i prodotti gourmet, gli aperitivi italiani e la bruschetteria. Il Sofartcafè organizza anche cene concerto e cene a tema e la caffetteria propone vari tipi di caffè elaborati con metodi alternativi di scuola italiana e degustazioni di thé. La libreria ha, inoltre, un’ampia scelta di testi di fotografia, erotismo, cucina, teatro, testi bilingue e libri scelti per bambini. 
 
 
(foto Sofartcafè)
 
Il propietario, Roberto Valentino, un filosofo-animatore culturale, ci mostra orgoglioso la lunga tavola della libreria e il morbido sofà che offrono un’atmosfera rilassante, e gli altri ambienti caratteristici del Sofartcafè che permettono al cliente di acquistare o di leggere semplicemente un libro, di studiare o di lavorare senza il religioso silenzio delle biblioteche.  Mostre, esposizioni, workshop o laboratori (proposti anche dagli stessi clienti) completano l'offerta del locale.
 
 
(foto Sofartcafè)
 
All'interno del Sofartcafè, vi è uno spazio pensato e creato per le esigenze dei più piccoli, una sorta di libreria nella libreria, dove i bambini hanno modo di frequentare corsi, laboratori, letture, teatro o semplicemente sognare tra le pagine dei libri scelti tra le edizioni italiane e spagnole più attente alla loro crescita.
Infine, per gli studenti d'italiano, dal mese di gennaio, il Sofartcafè organizza, tutti i martedì sera dalle 19 alle 20.30, una lezione di italiano gratuita con un’insegnante madrelingua!! Da non perdere!
p.s. Il nostro blog chiuderà per le Fallas e per Pasqua. Torneremo on line il 6 aprile. Buone feste!
 
 

mercoledì 9 marzo 2016

La moda delle parole nuove


(foto da internet)

Dopo "petaloso" della settimana scorsa, continua la corsa all'invenzione di parole nuove. Adesso è la volta di una signora che afferma che il suo nipotino ha coniato il verbo "cincinnare". Il neologismo non allude, però, al ritirarsi a curare il proprio orto dopo aver vinto una battaglia, come si dice che fece Lucio Quinzio Cincinnato. No, il "cincinnare" è il "tintinnare di cristalli, o vetri meno nobili, durante un "cin cin", rito che peraltro non manca mai di incuriosire i bambini. 
La cerimonia si chiama "brindisi" ma il fatto in sé del bicchiere contro bicchiere non ha un suo nome. Lo chiamiamo "cincinnare"? Perché no? Non sarà mica peggio di "petaloso"!



Dopo che l'Accademia della Crusca ha detto che sì, in fondo, "petaloso", anche se del tutto inventato da uno scolaro di Copparo, Ferrara, è una parola ben formata, ce lo si poteva aspettare. Non c'è bambino che non inventi parole e da allora ogni altro nuovo conio infantile è stato rivendicato da genitori, nonni, docenti che lo hanno ascoltato e annotato come possibile estensione del lessico nazionale, sempre all'insegna dello stesso principio: "Non sarà mica peggio di petaloso, che vi piace tanto!".


(foto da internet)

Sembra che all'incauta, ma si spera divertita Crusca, sia giunta la bellezza di cinquecento proposte di nuove parole alla settimana, dopo che aveva diffuso la sua autorevole expertise su "petaloso". Fra le nuove proposte la maggioranza è in "-oso": "smoggoso", per inquinato e dunque malsano; "profumoso", "dondoloso", "cernieroso". Ognuna si riferisce a realtà più o meno intuibili. Al proposito ci sono i precedenti, a loro modo autorevoli: ricordate "sciccosa" "comodosa", "scattosa" "risparmiosa" e quello di Antonio Banderas con "inzupposo".
(foto da internet)

Ma fra le invenzioni infantili sono comparsi anche "brontolite" e "sbrocchevole": lemmi a cui invano daremmo la caccia dentro alla riserva di un vocabolario, ma che pure possiamo comprendere anche fuori da un loro contesto qualsiasi. "-ite" è il suffisso delle infiammazioni, la "brontolite" sarà allora un ardente e fastidioso inconveniente per chi indulge al malcontento; "-evole" è un'inclinazione, e quindi "sbrocchevole" sarà chi "perde la brocca" presto e volentieri.




(foto da internet)

Il fatto è che l'invenzione linguistica raramente è assoluta. Il più delle volte si appoggia a pezzi di lingua preesistenti che sono nuovi solo nel loro montaggio e rivelano così facilmente il significato che si è loro voluto dare. Lo stesso "petaloso", da cui tutto è partito, deve la sua forza non tanto alla sua novità quanto al collaudato stato di servizio degli elementi da cui è composto. Notevole per la sua costruzione analogica è "paceggiare", inteso come azione opposta al "guerreggiare": in un'epoca (e in un'epica altrettanto meschina) in cui "guerra" si traduce in "peace keeping", un lemma come "paceggiare" svolgerebbe un'azione quasi chiarificatrice, se solo le parole in sé potessero svolgere mai una qualsiasi azione. Ma invece una parola, nuova o usata o desueta che sia, può ambire al massimo a farci esprimere e (sperabilmente) farci comprendere meglio. 

Però attenti, che questi non sembrerebbero sintomi di salute per la lingua italiana!!!

lunedì 7 marzo 2016

21 grammi





(foto da internet)
 
 21 grammi è un singolo del rapper italiano Fedez, pubblicato nel 2015. E' un viaggio introspettivo, in cui il cantautore si interroga sul senso della vita.
 21 grammi (21 Grams) è anche il titolo di un film del 2003 diretto da González Iñárritu. È il secondo film della cosiddetta Trilogia sulla morte del regista messicano.
21 grammi è l'ipotetico peso, calcolato dal dottor Duncan MacDougall, che chiunque perderebbe esalando l'ultimo respiro. 
21 è anche il numero del cromosoma che, se presente in 3 copie, determina la sindrome di Down.


(foto da internet)


Ma 21 grammi è anche un locale particolare che ha aperto i battenti a Brescia, in viale Italia 13: offre ai clienti un servizio di panetteria, ristorante, gastronomia d’asporto, bar, pranzi e aperitivi. Può sembrare, a prima vista, un posto come tanti altri ma ha la particolarità di essere gestito da un gruppo di ragazzi e ragazze con la sindrome di Down che produrranno tutto ciò che verrà servito.
Grazie alla collaborazione del Centro Bresciano Down, della Cooperativa Big Bang, del Comune di Brescia e dell'Istituto Superiore Alberghiero Andrea Mantegna, che ha messo a disposizione aule e insegnanti, il progetto di inclusione di business sociale è iniziato circa un anno fa con la formazione professionale di 19 allievi, tra giovani e adulti, su servizio in sala e nozioni base di cucina.


 (foto da internet)

A fine febbraio 2016, il 21 grammi ha inaugurato il locale di Viale Italia: una grande occasione per i ragazzi che potranno fare il primo passo verso l’indipendenza: un lavoro di responsabilità che, secondo i promotori dell'iniziativa, dovrebbe costituire un vero e proprio trampolino verso l’assunzione da parte di un vero imprenditore e, nella vita privata, li dovrebbe condurre verso l'indipendenza dai genitori.
21 grammi è un sogno realizzato per permettere di guardare al futuro con ottimismo. L'obiettivo è imparare un mestiere, guadagnare dei soldi e vivere prendendosi responsabilità di se stessi. 
Un'ottima occasione per dimostrare che le pari opportunità esistono.


venerdì 4 marzo 2016

L'Aventino

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 (foto da internet)

Con le Fallas dietro l'angolo, e la Pasqua praticamente attaccata alla festa in onore di San Giuseppe, Roma è senz'altro una meta classica per chi decide di staccare la spina (e di fuggire dai petardi...).
Proporre una guida della capitale è compito arduo, ma vi consigliamo di visitare, almeno una volta nella vita, il colle dell'Aventino.
Iniziamo dalla sua storia: su questo colle la plebe romana si sarebbe ritirata, nel 287 a. C., per protesta contro le angherie dei patrizi.
Con allusione alla storia romana venne anche chiamata Aventino la secessione dei parlamentari dell’opposizione al governo fascista che, il 27 giugno 1924, subito dopo il delitto Matteotti, decisero di non partecipare più ai lavori del parlamento finché un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche. La manifestazione di protesta non ebbe successo: il re Vittorio Emanuele III confermò la fiducia a Mussolini, e, nel novembre 1926, i deputati dell’Aventino vennero dichiarati decaduti dal loro mandato. 



(foto da internet)
L’Aventino è uno dei sette colli su cui venne fondata Roma. Il suo nome è forse legato al luogo da cui avvistare gli uccelli in volo (ab avibus in latino). Attualmente è una zona residenziale elegante e raffinata.
Ma perché andarci? Motivo numero uno: avete mai spiato San Pietro dal buco di una serratura? No, non siamo impazziti: la visione particolarissima di San Pietro è una delle tante curiosità che il suddetto colle offre al viaggiatore. 
Motivo numero due: l'Aventino serba tesori nascosti che, di solito, vengono tralasciati da chi visita Roma: splendide chiese, il roseto comunale e il Giardino degli Aranci.



(foto da internet)
  
Torniamo al buco della serratura: essa fa parte del cancello della struttura della villa del Priorato di Malta che da sulla Piazza dei Cavalieri di Malta sul Lungotevere Aventino. La villa venne eretta sull’area di un monastero benedettino fondato nel 939.  Nel 1400, papa Paolo II, lo concesse al Sovrano Militare Ordine di Malta.
Dalla serratura senza chiave si può ammirare, in prospettiva, la cupola di San Pietro, in fondo al viale del giardino, incorniciata dalle siepi.
La villa del Priorato di Malta ospita l'ambasciata presso lo Stato italiano dell'Ordine, e gode del diritto di extraterritorialità dal 1869.


(foto da internet)
Sul colle, si può ammirare la Basilica di Santa Sabina, del V secolo, costruita sulle rovine della casa romana di Sabina, matrona convertitasi al cristianesimo e poi santificata. L'edificio ha subito significativi cambiamenti nel corso dei secoli. Nel '500 e nel '600, vi intervennero grandi architetti quali Domenico Fontana e Francesco Borromini.
Poco distante si trova la Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio che fu costruita prima della Basilica di Santa Sabina, tra il III e il IV secolo. Il suo impianto più recente risale alla metà del '700; solo un campanile romanico, la cripta e un portico medievale rimangono a testimoniare il passato più lontano dell'edificio.
Un'altra chiesa interessante è quella di Santa Prisca costruita più o meno nello stesso periodo di Santa Sabina, nel luogo in cui i coniugi Aquila e Prisca avrebbero ospitato San Pietro e San Paolo. Al suo interno si trova un mitreo scoperto da meno di un secolo che testimonia in modo compiuto l'edificazione della chiesa su una costruzione romana già esistente.

 (foto da internet)

In Piazza dei Cavalieri di Malta, presso la Chiesa di Sant'Anselmo, ha la sua sede la Confederazione benedettina: qui risiede l'Abate Primate dell'Ordine e ha sede l'Università benedettina. La chiesa è in stile neoromanico, e fu costruita dall'architetto Francesco Vespignani alla fine dell''800, sui resti di una domus romana del II-III secolo d.C., visibili nei sotterranei della chiesa.
Sempre in Piazza Cavalieri di Malta, si trova la chiesa dell'Ordine, ridisegnata nella metà del '700 dal Piranesi
Prende il nome di Santa Maria del Priorato. Il Piranesi la decorò con stucchi che riprendono i simboli dei Cavalieri di Malta e la ristrutturò in modo che rievocasse la forma di un tempio romano.
Meritano una visita il roseto comunale che, in maggio, offre ben 1100 varietà di rose e il giardino degli Aranci, o parco Savello, da cui si gode una fantastica visuale della città eterna.
Buon viaggio! 

mercoledì 2 marzo 2016

La lingua che parliamo


(foto da internet)

La capacità di comunicare attraverso un linguaggio parlato e scritto, strutturato e complesso, è la caratteristica che più ci distingue dagli altri animali. Non solo: il linguaggio è in grado di “modellare” il nostro cervello, le convinzioni e gli atteggiamenti cambiando il modo di pensare e agire. Stando a un numero sempre più nutrito di studiEssere madrelingua inglese, cinese, o russo ha effetti diversi sull’architettura del pensiero. Succede perché ogni lingua pone l’accento su elementi diversi dell’esperienza, forgiando così un modo specifico di vedere il mondo. In parte dipende dalle influenze culturali, come spiega Jubin Abutalebi, neurologo cognitivista e docente di neuropsicologia dell’Università San Raffaele di Milano: «La parola che indica uno stesso oggetto in lingue diverse può acquistare sfumature differenti, che dipendono dal substrato culturale specifico». 
(Getty Images)

(foot da www.corriere.it)

Per esempio, in cinese “drago” non solo rimanda a un animale fantastico e pauroso ma soprattutto a un simbolo di fortuna, forza, saggezza. Quindi, inevitabilmente un cinese “vedrà” iun drago in modo diverso da un occidentale. E lo stesso accadràa un bilingue anglo-cinese: per lui il drago sarà meno spaventoso che per un inglese. «La visione culturale sottesa alle parole di lingue differenti può influenzare chi conosce più di un idioma — sottolinea Abutalebi —. Il cervello, dovendo processare lingue con una semantica varia, associa ai singoli concetti elementi tratti dai linguaggi che conosce. In genere poi chi padroneggia più lingue è più curioso nei confronti delle culture legate agli idiomi conosciuti e questo facilita una maggior apertura e una visione diversa delle cose. Il modo di pensare e relazionarsi col mondo rimane immutato solo se una lingua viene imposta, perché in questo caso si mette in atto una resistenza a qualsiasi “commistione” culturale».

(foto da internet)

L’influenza del linguaggio sul nostro Io è tuttavia ancora più profonda, con effetti sorprendenti perfino sulle decisioni coscienti: uno studio su PLOS One ha dimostrato che quando ci esprimiamo in una seconda lingua tendiamo ad avere meno remore morali. «Un idioma che non sia appreso dalla nascita è meno influenzato dalle emozioni perché mentre lo si parla si deve esercitare un controllo cognitivo maggiore per “spegnere” la madrelingua, che resta il vettore della morale, dell’etica, dei sentimenti», commenta Abutalebi. Il linguaggio appreso in culla è anche quello che più modula la nostra struttura mentale.



(foto da internet)

E curioso è che, come dice l’economista Keith Chen dell’Università di Los Angeles, la lingua può perfino modulare l’attitudine al risparmio: i cinesi, che non hanno un tempo verbale preciso per indicare il futuro, hanno una propensione a mettere da parte i soldi del 30% maggiore rispetto a chi parla lingue più “definite” forse perché «identificare linguisticamente il futuro in modo distinto dal presente lo rende più lontano, motivando meno a risparmiare», ha spiegato Chen. Si è scoperto che pure indicare il genere delle parole incide sulla visione del mondo: uno studio su bambini ebrei e finlandesi ha rivelato che i primi si accorgono in media un anno prima di essere maschi o femmine anche perché la loro lingua assegna quasi sempre il genere alle parole, mentre in finlandese non accade. In alcuni casi gli effetti di un idioma sono ancora più curiosi: Lera Boroditsky, dell’Università di Stanford, ha verificato che nella lingua della tribù Piraha, in Amazonia, non esistono lemmi per indicare i numeri ma solo i termini “pochi” o “tanti”. Risultato, i Piraha non sanno tenere conto di quantità esatte. 

(foto da internet)

Riguardo alla matematica: i numeri si “pensano” nella lingua che sentiamo come primigenia perché, come spiega il neuropsicologo Jubin Abutalebi, «la matematica attiva circuiti cerebrali diversi da quelli del linguaggio e chiama in causa un maggior “controllo”. Da un certo punto di vista è simile alla grammatica, la parte del linguaggio più influenzata dal periodo di apprendimento dell’idioma: nei bilingui tardivi ad alta padronanza, quelli cioè non distinguibili dai madrelingua anche se hanno appreso la seconda lingua non in contemporanea alla prima, una mappatura cerebrale rivela una maggiore attivazione delle aree di controllo esecutivo durante compiti di grammatica, mentre in caso di compiti lessicali o semantici l’attivazione è identica a quella di un bilingue precoce. Per padroneggiare la grammatica delle lingue apprese dopo l’infanzia serve perciò uno sforzo cognitivo maggiore»


(foto da internet)

Si dice che Carlo Magno abbia detto: «Conoscere una seconda lingua significa possedere una seconda anima». Ne era convinto anche il linguista americano Benjamin Lee Whorf che, nel 1940, postulò la teoria secondo cui il linguaggio plasma il cervello al punto che due persone con lingue differenti saranno sempre cognitivamente diverse. Tale tesi passò di moda con gli studi di Noam Chomsky, che negli anni ‘60 e ‘70 propose la teoria di una “grammatica universale”, ovvero basi generali comuni per tutti i tipi di linguaggio. A partire dagli anni ‘80, però, alcuni studiosi hanno iniziato a rivalutare Whorf, depurando la sua teoria dagli eccessi: così oggi sappiamo che, al di là di fondamenta concettuali simili, ogni linguaggio sottende una sua “visione del mondo” e la infonde, almeno in parte, in chi lo parla. Un esempio è il senso di colpa e di giustizia: in inglese se un vaso si rompe si sottende sempre la presenza (e quindi la responsabilità) di qualcuno, in spagnolo si tende a dire che il vaso si è rotto. Secondo alcuni proprio da questo dipende la tendenza anglosassone a punire chi trasgredisce le regole, più ancora che risarcire le vittime.

(tratto da www.corriere.it)