lunedì 30 novembre 2015

Lessico e arte (X)

 (foto da internet)

 

Presso la Fondazione Giorgio de Chirico, sita a Roma, in Piazza di Spagna, si conserva una tela enigmatica: Pianto d’amore, Ettore e Andromaca (1974), un olio su tela, di cm. 102 x 82

De Chirico, esponente di spicco della cosiddetta pittura metafisica, ci offre lo spunto per parlare delle spalle e della schiena. Attenzione a non confondere i due termini! La spalla (pl. le spalle) è, secondo il dizionario: "il segmento corporeo di unione tra l’arto superiore e il torace", invece la schiena è: "la parte dorsale del torace, compresa tra le spalle e le reni; è l’equivalente di dorso".  

 

 (foto da internet)

Le tematiche e i soggetti ricorrenti di questa innovativa corrente pittorica sono le piazze e gli spazi deserti e silenziosi, congelati in una totale assenza di tempo, la luce innaturale, le prospettive deformate, i personaggi senza volto (i celebri manichini), gli oggetti di uso quotidiano messi insieme senza criterio logico e accostati a famosi monumenti. La metafisica di de Chirico, come lo stesso nome suggerisce, mira a rappresentare la realtà non come appare ai sensi nell'immediato, ma come può essere percepita nella sua dimensione emozionale ed irrazionale; quella che, ad esempio, può scaturire da un colloquio intimo con se stessi, da un sogno o, come lo stesso de Chirico dichiarò di aver sperimentato, o da una visione.

(foto da internet)

 

Ricordate il canto VI dell'Iliade, quando Ettore, il capo dei troiani, dopo essersi recato da Paride per incitarlo alla battaglia, al ritorno a casa non trova più Andromaca, sua moglie? Beh, i protagonisti del quadro di de Chirico sono proprio loro. Andromaca è una figura toccante, giacché è destinata a perdere tutti i suoi cari, ed è una delle figure più commoventi della mitologia greca, e rappresenta la donna nei suoi aspetti più tragici. Moglie ideale, vedova fedele, madre affranta racchiude l'impotenza e la sofferenza di una donna che deve affrontare una vita senza il marito amato, ucciso dal senso del dovere, viene ritratta di spalle dal pittore, in un ultimo gesto disperato per trattenere Ettore, l'eroe che verrà ucciso in battaglia da Achille.

Ed ecco a voi, per finire, i modi dire con i vocaboli spalla (leggi>>) e schiena (leggi>>).


 

venerdì 27 novembre 2015

C'è sedia e sedia





(foto da internet)
 
Vi parliamo di una sedia, non di una sedia qualunque, ma della chiavarina, creata nel lontano 1807 dall'ebanista di Chiavari (Genova) Giuseppe Gaetano Descalzi (detto Campanino poiché discendeva da una famiglia di campanari), che rielaborò alcuni modelli di sedie francesi riconducibili allo stile Impero, semplificandone l'apparato decorativo e riducendo le sezioni degli elementi strutturali.
La sedia ebbe successo e in breve tempo nacquero moltissime manifatture a Chiavari e nei comuni limitrofi.
La sua fortuna declinò per l'avvento delle austriache sedie Thonet, prodotte in serie, meno costose, e costituite di pochi elementi facilmente smontabili, e nella seconda metà del XX secolo, per la concorrenza della produzione industriale. Sopravvivono, tuttavia, alcune botteghe che producono ancora la sedia chiavarina con metodi e materiali tradizionali, tra cui i fratelli Levaggi, un geometra e un architetto che si sono messi in testa di rilanciare la sedia di Chiavari nel mondo. Con gusto,  tradizione, e innovazione. 

 

 (foto da internet)

La sedia di Chiavari prodotta dalla ditta Levaggi è un insieme perfetto di leggerezza e solidità, eleganza e funzionalità. Un gioco ad incastri, senza chiodi e metalli, di una ventina di pezzi perfettamente sagomati e calibrati, rinforzati da un seduta ottenuta da sottili filamenti di giunco- ma in origine si utilizzava il salice- intrecciati con un disegno di trama ad ordito direttamente sulla sedia già montata. 
La particolare leggerezza è ottenuta attraverso le sezioni strutturali: ciascun componente della sedia è infatti dimensionato in base alle sollecitazioni specifiche a cui è chiamato a rispondere. Il sistema di incastri messo a punto dal Campanino concorre alla robustezza della struttura.
I legni utilizzati sono il ciliegio selvatico e l'acero, a cui si aggiungono il faggio e talvolta il frassino, tutti provenienti dai boschi dell'entroterra, e che vengono sottosposti a lunga stagionatura.  

 

 (foto da internet)

La seduta viene realizzata con sottili strisce di salice palustre, intrecciata a mano in trama e ordito direttamente sul telaio della seggiola e annodata secondo il sistema ideato dallo stesso Descalzi.
Dal laboratorio escono una, massimo due sedie al giorno. Insieme ai fratelli Levaggi lavorano altri due collaboratori. 
Le nervature,  le fibre delle assi, il taglio, la levigatura, la scelta della dima da utilizzare per sagomare nuove forme, la foratura delle parti, l’assemblaggio, sono i passaggi, sempre uguali ma sempre diversi, richiedono sapienza, e una passione che non conosce né orari e né giorni festivi.
Le chiavarine dei fratelli Levaggi sono sempre più richieste ed esportate all’estero. In un mondo globalizzato, governato dalla legge del profitto, i signori Levaggi lavorano senza rivenditori, con un rapporto stretto, diretto e complice con chi desidera acquistare le loro sedie, garantendo la continuità di una tradizione artigianale di eccezionale qualità.
Meditate, gente, meditate!






mercoledì 25 novembre 2015

Il Made in Italy di oggi




4x3 vocabolario Triennale, in mostra il vocabolario della moda italiana
(foto da internet)

Come si evolve la moda italiana? Che cosa c’è oltre le griffe che hanno reso l’Italia eccellenza riconosciuta nel mondo? Come sta affrontando la sfida della contemporaneità il Made in Italy, tessuto fatto di artigiani che lavorano con la passione di un artista? Una risposta a tutte queste domande e a molte altre viene dalla mostra Il nuovo vocabolario della moda italiana, a cura di Paola Bertola e Vittorio Linfante, alla Triennale di Milano, dal 24 Novembre al 6 marzo 2016.


Triennale_vocabolario della moda italiana
(foto da internet)

Una sorta di racconto fatto di vestiti, borse, scarpe, occhiali e corsetti decisamente originali che sarebbe piaciuto a Elio Fiorucci, il designer giramondo che ha sempre concepito la moda come espressione della vita vera. Le nove stanze sintetizzano (per argomenti) il Made In Italy al quale va il merito di aver saputo preservare la cultura manufatturiera. E quando l’esperienza di un cappellaio o di una decoratrice s’incontra con la creatività di un giovane designer escono sorprese che vale davvero la pena di vedere. Oggetti che vanno oltre il vestito; anche se poi viene voglia di indossarli. 
Triennale_Vocabolario della moda italiana
(foto da internet)

«Le nuove generazioni non hanno pregiudizi nel mischiare tradizione e sperimentazione», spiega una la curatrice della mostra. E non a caso il viaggio nell’Italia della creatività messa in luce da questa mostra, unica nel suo genere, comincia dalla stanza della «Materia». I tessuti nella moda non sono mai stati tanto importanti, lo dicono gli stilisti stranieri che affollano le fiere italiane e vanno nelle aziende a ordinare i materiali, spesso realizzati in esclusiva per loro .La moda che viaggia su Instagram e Facebook ha bisogno di tridimensionalità, di materia. I vestiti pensati anche per essere fotografati e postati sono colorati e super stampati. La stanza della «Costruzione» sottolinea la forma-scultura di un abito che però oggi deve essere anche comodo. Come? Lavorandolo all’interno con la tecnica della lingerie. 
Il nuovo vocabolario della moda italiana La Triennale di Milano, 2015 Foto Agostino Osio
(foto da internet)

La mostra nata dalla mappatura di circa 100 realtà produttive (selezionate su circa 300 con un lavoro di ricerca andato avanti un anno e mezzo) mette in scena la storia recente del Made in Italy, a partire dal 1998, anno che segna il passaggio al mondo interconnesso del web, dieci anni prima della crisi globale del 2008. Ecco «Il Made in Italy continua ad essere associato al periodo d’oro, quello creato dai grandi stilisti fino agli anni Novanta, oscurando così la sua capacità di rigenerazione — continuano i curatori — . La mostra richiama l’attenzione su coloro che hanno ereditato la lezione di quei maestri, guardando al futuro con un proprio linguaggio». Nella stanza «Laboratorio» si può toccare con mano la capacità italiana di innovare, mixando tecnologia e manualità. «L’idea era quella di verificare la vitalità di un sistema . Il risultato è che la crisi ha imposto un passo indietro alla velocità del mercato. Oggi, si preferisce produrre di meno nel nome della qualità. E l’Italia è apprezzata anche per questo».

lunedì 23 novembre 2015

Lessico e arte (IX)




(foto da internet)


Collo. Secondo il dizionario: "Nell’uomo e in altri vertebrati, la parte superiore, ristretta, del tronco, su cui s’articola la testa, e che racchiude organi importantissimi ed essenziali alla vita". 
A Firenze, presso la Galleria degli Uffizi, si conserva una tela molto nota del Parmigianino: La Madonna dal Collo Lungo, un dipinto ad olio su tavola di cm 216 x 132, realizzato tra il 1534 ed il 1540. È considerato uno dei dipinti più importanti e rappresentativi del Manierismo italiano
L’opera fu commissionata da Elena Baiardi per la propria cappella nella chiesa di Santa Maria dei Servi di Parma, nel 1534, per essere consegnata l’anno successivo. In realtà il dipinto non fu mai consegnato e, quando il Parmigianino morì, nel 1540, rimase incompiuto.




(foto da internet)

Le figure sono quasi tutte sproporzionate rispetto al vero, come se il pittore obbligasse all'osservazione da particolari angolazioni. Il Parmigianino spostò l'attenzione  sulla sinistra, dove i sei angeli si accalcano confusamente per vedere il Bambin Gesù.  Sull’altro lato, invece, lo spazio si apre all’aperto e, in lontananza, ci sono alcune colonne senza capitello, e in basso, molto piccola, la figura di San Girolamo con una pergamena in mano. 
L’opera, benché incompiuta, ha un fascino indiscutibile. Colpisce soprattutto la strana atmosfera generale della scena, dominata dall’immobilità e dal silenzio. Ogni particolare è curato nei minimi dettagli, soprattutto nei riflessi dorati dei capelli e delle pieghe delle vesti. I volti sono tutti molto delicati e di grande dolcezza, in particolare quello dell’angelo subito a sinistra della Madonna.


(foto da internet)

Come abbiamo segnalato poc'anzi, un aspetto tipicamente manierista di quest'opera è lo sconvolgimento delle proporzioni: non solo il collo della Vergine è più lungo del normale, la gamba dell'angelo sulla sinistra, le dita e il corpo della Vergine sono sproporzionati. Un altro particolare interessante è il piede destro di Maria: sebbene sia appoggiato sui cuscini al margine inferiore del dipinto, sembra essere proiettato verso l'esterno dell'opera stessa, rompendo il tradizionale modo di osservare una pittura. 
Il Parmigianino ammicca volontariamente a due riferimenti fondamentali del Rinascimento ma, al tempo stesso, ma rompe con essi: la Sacra Conversazione di Piero della Francesca, e la Pietà di Michelangelo,  si plasmano in una nuova corrente che sprigiona angoscia, drammaticità, deformazione, disarmonia e irrealtà: il Manierismo.
Ma i famosi colli di Modigliani dovranno pur venire da qualche parte, no?
Ecco a voi i modi di dire con il termine collo (leggi>>).


mercoledì 18 novembre 2015

Valeria non deve morire


(foto da internet)

Dalla rubrica Bussole di La Repubblica riportiamo un articolo del professore Ilvo Diamanti, sociologo, politologo e saggista italiano e ci stringiamo nel cordoglio al dolore provocato dalla barbarie di Parigi.

"Insegno a Urbino da venticinque anni e a Parigi da venti. Non mi è mai stato facile far convivere i miei impegni in due Università e in due città così lontane. E così diverse. Eppure mi è stato utile. Dal punto scientifico, professionale. E umano. Perché sono due città bellissime, nella loro assoluta differenza. La Metropoli e la piccola "Città ideale". Eppure, per quanto distanti e distinte, per quanto incomparabili, queste due città, dal mio punto di vista, hanno almeno un aspetto che le accomuna. I giovani. Gli studenti.

A Urbino, ormai, quando incontri uno della mia età, non ci sono alternative: se non è un turista, è un professore. I residenti, quelli si sono trasferiti all'esterno. Hanno "affittato" la città agli studenti.

Quanto a Parigi, secondo il Qs World University Ranking, è al primo posto nella classifica delle Best Student Cities in the World. Cioè: delle migliori città dove studiare. A Parigi, d'altronde, ci sono 13 Università, più le Grandes Ecoles, che accolgono, ogni anno, decine di migliaia di studenti stranieri. Fra loro, Valeria Solesin, uccisa  venerdì scorso dai fanatici jihadisti che hanno terrorizzato la Ville Lumière. Ammazzato 150 persone. Ferendone altrettante. In larga misura giovani. E studenti. Valeria era dottoranda in Demografia alla Sorbonne. Una vita per gli studi. Alternata all'impegno volontario.  Con Emergency. Accanto ai poveri del mondo. Un "cervello in fuga", si è detto, come altre migliaia di giovani. Non solo studenti. Che hanno a Parigi quella "Metropoli ideale", che gli jihadisti hanno voluto colpire. Lasciando dietro di sé una scia di sangue lungo un itinerario che io stesso sono solito percorrere. Suggestivo e ad alto contenuto simbolico. Da Place de la République  a Rue Voltaire. Dove ha sede il Bataclan. Teatro del massacro di tanti giovani, accorsi a un concerto hard rock. Prima di tutto, per stare insieme. Per questo è stato scelto come bersaglio esemplare. Da chi non ha più ideali, né speranze, né futuro. E vorrebbe, per questo, uccidere gli ideali, le speranze e il futuro, che Valeria e gli altri giovani come lei, interpretano. Colpevoli  -  esemplari - di essere giovani. E studenti. Tanto più, per gli jihadisti, se donne. 

Valeria non deve morire
(foto da www.repubblica.it)

Ma, proprio per questo, Valeria non deve morire. Invano. Per i miei studenti di Paris II, in gran parte stranieri (non francesi). Per i miei studenti di Urbino. Per tutti gli studenti e per tutti i giovani e le giovani d'Europa. Molti di loro: arabi e musulmani. Per tutti loro. Per tutti noi. Valeria non deve morire".

lunedì 16 novembre 2015

Lessico e arte (VIII)





(foto da internet)
 
Forse le labbra (s.m. il labbro, attenzione) in arte più famose sono quelle di Mae West del sofà di Salvador Dalí, conservato a Cadaqués, presso la Casa Museo dell'artista catalano.
Ma a Roma, dietro Villa Borghese, nella Galleria Nazionale d'arte Moderna, c'è un'opera intitolata Primo piano labbra, di Pino Pascali, del 1965, una tela smaltata tensionata su struttura lignea di cm 165 x 165 x 30 (vedi foto seguente), che forma parte della serie Pezzi di donna presentati alla prima personale presso La Tartaruga di Roma nel gennaio 1965, e che sembra prendere spunto dalle labbra rosse volanti di Man Ray e dalle strette inquadrature del cinema. 



(foto da internet)
 
Lo stesso autore dipinse, nel 1964, l'opera intitolata Labbra rosse (omaggio a Billie Holiday), una tela dipinta a smalto su centine di legno, cm160 x 160 x 21 (vedi foto seguente), conservata presso la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino.
Artista eclettico, Pascali fu scultore, scenografo e performer. Nelle sue opere riunì le radici della cultura mediterranea (i campi, il mare, la terra e gli animali) con la dimensione ludica dell'arte: un ciclo di opere è dedicato alle armi, veri e propri giocattoli realizzati con materiali di recupero (metalli, paglia, corde) e molti suoi lavori ripropongono le icone e i feticci della cultura di massa. 



(foto da internet)
 
È ritenuto uno dei più importanti esponenti dell'arte povera, insieme a Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Mario Merz, Eliseo Mattiacci, Sergio Lombardo e Cesare Tacchi. 
Per finire, ecco a voi i modi dire con il termine labbra (leggi>>). 

venerdì 13 novembre 2015

Mario Biondi (a Barcellona)



 (foto da internet)

Dopo un rinvio a causa di un'inopportuna influenza, si è tenuto ieri sera, a Barcellona, presso la sala Barts, un concerto di Mario Biondi, nell'ambito del Festival Internazionale di Jazz.
Cantante non molto noto in Spagna, Mario Biondi, al secolo Mario Ranno, di quel di Catania, è, senza dubbio, una delle più belle voci maschili in circolazione.
Col suo timbro vocale molto vicino a quello dei più noti Barry White e Isaac Hayes, Biondi dà vita a un soul jazz caldo e passionale, interpretato con accenti ironici e con  arrangiamenti di coloritura jazz.


(foto da internet)
 
Il concerto di Barcellona, s'inquadra in un tour, che lo vedrà impegnato in Italia e in alcune città europee, e che coincide con l'uscita del suo ultimo lavoro Beyond, un disco che mescola una morbida ballata jazz, All I want is you, scritta da Dee Dee Bridgewater, col funky, il soul e perfino la dance e il reggae.
Il disco ha riscosso un notevole successo e ha conquistato il disco d'oro (secondo la classifica FIMI/GfK Retail and Technology). 
Vi proponiamo due brani interpretati da Biondi: il primo è una cover di Claudio Baglioni, Tu come stai?, e il secondo è un duetto col compianto Pino Daniele, a Umbria Jazz 2013, 'I so' pazz
Buon ascolto!


mercoledì 11 novembre 2015

Scarpe d'autore

(foto da internet)


Lui, Marcello Mastroianni, le indossò 50 anni fa, per lasciare le sue impronte sull’Hollywood Boulevard. L’attore italiano più famoso del mondo (basta “Marcello”, per lui), quel giorno, portava un paio di scarpe Sutor Mantellassi.
“Marcello, Marcello!” Un nome, una scena, un’icona. Il mito di Marcello Mastroianni è iniziato con quella immagine della Dolce Vita di Federico Fellini, datata 1960, è proseguito con il personaggio di Guido Anselmi in 8 e 1/2 (era il 1963) ed è stato “concretizzato” con la posa, nel 1965, delle sue impronte sulla Walk of fame diHollywood. Un mito anche di stile, tanto che il celeberrimo attore in quella occasione indossava un paio di scarpe Sutor Mantellassi, marchio sinonimo di eleganza,artigianalità e cura dei dettagli in tutto il mondo.
Un binomio, quello tra Sutor Mantellassi e Marcello Mastroianni, che festeggia quest’anno50 anni. E per l’occasione il marchio di calzature ha organizzato, in collaborazione conStyle Magazine, un cocktail party all’interno della boutique milanese di via Montenapoleone. Salendo al primo piano, una vetrina fa bella mostra del paio di scarpe “hollywoodiano”. 

(foto da internet)
Adesso tocca al giornalista francese e trend setter Thomas Erber a rendere omaggio a Marcello Mastroianni, icona dello stile italiano, firmando la calzatura MM5 che reinterpreta lo stesso modello dell’azienda Sutor Mantellassi. Erber è il quinto e ultimo dei cinque designer a cui è stato affidato il compito di rifare la scarpa appartenuta al divo. Prima di lui, la scarpa è stata reinterpretata da Justin Deakin (designer di scarpe londinese); da Scott Fellows con Craig Bassam (designer fondatori della BassamFellows); da Scott Schumann (The Sartorialist) e da Toshinosuke Takegahara.  La MM5 disegnata da Thomas Erber è realizzata in cordovan e alligatore, nel colore bourdeaux, con una fascia elastica rossa che esalta il desing. 

lunedì 9 novembre 2015

Lessico e arte (VII)

-->




(foto da internet)
Nel nostro viaggio siamo giunti alla bocca
A Roma, c'è una bocca famosissima: la  cosiddetta Bocca della Verità, un antico mascherone in marmo, murato nella parete del pronao della chiesa di Santa Maria inCosmedin dal 1632 .
La scultura, databile risalente al I secolo, ha un diametro di 1,75 m e un peso calcolato di circa 1300 Kg. Rappresenta un volto maschile barbato nel quale occhi, naso e bocca sono forati e cavi.
Le sue funzioni sono ancora incerte: si tratta forse di una fontana o tombino di impluvium o addirittura di cloaca (ipotesi quest'ultima legata probabilmente alla vicinanza del sito alla Cloaca Massima, in questo ultimo caso rappresenterebbe il più antico chiusino noto in Italia).


(foto da internet)

Ciononostante, il mascherone gode di grande e leggendaria fama: si presume, infatti, che esso sia l'oggetto menzionato, nell'XI secolo, nei primi Mirabilia Urbis Romae (una guida medievale per pellegrini), dove alla Bocca viene attribuito il potere di pronunciare oracoli. 
Un testo tedesco del XII secolo descrive dettagliatamente come, da dietro quella bocca, il diavolo - qualificatosi come Mercurio (non a caso protettore dei commerci e anche degli imbrogli) - trattenesse la mano dell'imperatore Giuliano, promettendogli infine riscatto dalla figuraccia e grandi fortune se avesse rimesso in auge le divinità pagane.



(foto da internet)

Nel medioevo si fece strada la leggenda che fu Virgilio magoa costruire la Bocca della Verità, ad uso dei mariti e delle mogli che avessero dubitato della fedeltà del coniuge.
Il nome Bocca della verità compare nel 1485, e la scultura rimane da allora costantemente menzionata tra le curiosità romane. In origine era collocata all'esterno del portico della chiesa, nel cui portico fu spostata con i restauri voluti da Urbano VIII Barberini nel 1631.
Fu citata in un testo poetico, in dialetto romanesco, del Belli:

(...)
Pe ttutta Roma cuant'è llarga e stretta
nun poterai trovà ccosa ppiú rrara.
È una faccia de pietra che tt'impara
chi ha ddetta la bbuscía, chi nnu l'ha ddetta.
 (...)

File di turisti ancor oggi aspettano pazientemente di farsi fotografare con la mano nella bocca. Sarà??
Ecco a voi i modi di dire con il termine bocca (leggi>>). 

venerdì 6 novembre 2015

Di case, di buche, di ponti ... (del diavolo)



 (foto da internet)

Nella terra dei santi e degli eroi non poteva mancare il nemico per eccellenza: il diavolo, mito assai diffuso un po' in tutta la penisola.
L'immagine del demonio per le plebi della tarda antichità si modellò sull'effigie tradamandata dagli scrittori medievali di un essere con le corna che spuntano dalla fronte, la coda, il petto villoso, i piedi di capra, irsuto e con gli occhi di fuoco. Più tardi la chiesa volle identificare la donna come strumento privilegiato delle manifestazioni tangibili del diavolo.
L'iconografia è sempre la stessa:  un essere (uomo o donna che sia) semiumano, con corna, pelo, coda, ali, zampe caprine e puzzo di zolfo. 
Nel mondo contadino, il demonio rappresentò la proiezione di mali concreti: tempeste, fame, siccità, distruzione del raccolto, morte. 


 (foto da internet)

E' il diavolo ad interrompere un ciclo positivo: lo svolgersi del lavoro nei campi, la buona raccolta, ecc.
Il diavolo ha anche il potere del malocchio: un solo sguardo basta a colpire uomini, piante e animali fino a condurli a morte sicura. Vive, e convive, nelle streghe, e in tutti coloro i quali hanno costituito un patto con lui. 
Il demonio può assumere forme differenti. Può trasformarsi in gatto nero, in gufo, in civetta, in serpente, in rospo; e ancora in donne bellissime..
La sua abilità nel camuffarsi non è mai assoluta. Uno dei suoi attributi classici finisce sempre per spuntare da qualche parte ed essere individuato. Quando ciò accade, per proteggersi, bisogna farsi il segno della croce e pronunciare l'invocazione Gesù, Giuseppe e Maria capace di allontanarlo e di respingerlo all'inferno.



 (foto da internet)

La sua dimora principale è nello sprofondo della terra, nell'inferno, tra fiamme e urla delle anime dannate. 
Lo si può vedere, però, in luoghi meno remoti e in superficie: grotte, pozzi, anfratti. Nella toponomastica di tutta Italia, e d'Europa, sono frequenti le denominazioni che fanno preciso riferimento al diavolo.
In provincia di Perugia, c'è la frazione di Casa del diavolo, in provincia di Bergamo c'è una vetta chiamata Pizzo del diavolo, e poi, un po' dappertutto, un gran numero di pozzi, grotte, ponti e buche.


 (foto da internet)


Uno degli esempi più belli dell'architettura civile legato al termine diavolo è il ponte della Maddalena, a Borgo a Mozzano, in Garfagnana, in provincia di Lucca, noto ai più come Ponte del diavolo.
Il ponte scavalca il fiume Serchio, ed è un'eccezionale opera di ingegneria medioevale, probabilmente voluta dalla contessa Matilde di Canossa. Restaurato nel XIII secolo, il ponte deve il nome ad una edicola, che custodiva al suo interno la figura della Maddalena, costruita intorno al 1500 e oggi non più esistente. Nei secoli è stato più volte rimaneggiato, mettendone a rischio la struttura. Un atto del 1670 della Repubblica di Lucca proibiva di passarci sopra con le macine di mulino: l'intento era di preservarlo nella sua integrità. Agli inizi del '900, per far passare la linea ferroviaria Lucca-Aulla, venne aperto un nuovo arco, che ne modificò notevolmente la fisionomia. La struttura ad arcate asimmetriche, con l'arco centrale che sfida la forza di gravità, ha resistito nei secoli a innumerevoli piene e, ancora oggi, il ponte è percorribile a piedi grazie alla sua forma a schiena d'asino.


 (foto da internet)

La leggenda vuole che la sua costruzione si rivelò fin dall'inizio di difficile realizzazione. Il capomastro incaricato dell'opera, resosi conto che non avrebbe completato il lavoro per la scadenza prevista, era sprofondato nella disperazione: ma una sera, mentre sedeva da solo sulla sponda del Serchio, pensando al disonore che gli sarebbe derivato per non aver terminato il ponte in tempo utile, gli apparve il diavolo, che gli propose di stipulare un patto. Il demonio avrebbe terminato il ponte in una sola notte, ma ad una condizione: avrebbe preso l'anima di colui che avesse attraversato il ponte per primo. Il patto fu siglato: in una sola notte il diavolo sollevò la grande campata del ponte. Il costruttore, pieno di rimorso, andò a confessarsi da un religioso, che gli disse di rispettare il patto, ma di aver l'accortezza di far ad attraversare per primo il ponte a un maiale
Il giorno successivo il capomastro impedì l'accesso alle persone e fece attraversare per primo il ponte alla bestia. La leggenda vuole che il diavolo, inferocito per la beffa, si sia gettato giù dal ponte nelle acque del Serchio e non si sia mai più fatto rivedere da quelle parti...

A Marco B., con affetto