venerdì 30 ottobre 2015

Le fave dei morti



(foto da internet)

La Festa di Tutti i Santi ha origine nel 835, anno in cui il Papa Gregorio IV cercò di dare un significato ai riti pagani legati alla tradizione celtica. L'anno celtico, infatti, conosceva soltanto due stagioni: l'inverno e l'estate. 
L'inverno cominciava il 1° novembre e, in questa data, si teneva una grande festa d'inizio per il nuovo anno. Un motivo ricorrente nelle antiche feste d'inizio di un ciclo annuale o stagionale è la credenza che, in quel giorno fatidico, i morti possano far ritorno sulla terra e si comportino verso i vivi con aspetto benevolo o tremendo.
Le anime dei defunti devono, perciò, in quel giorno, esser confortate e placate, perché siano propizie allo svolgersi dell'anno che ricomincia.



 (foto da internet)

Moltissime le leggende e le tradizioni, presenti in Italia, in occasione di questa festa. In un bellissimo testo poetico del Pascoli, intitolato La tovaglia, si ricorda come, in questa data, dopo aver cenato, sia necessario toglier la tovaglia da tavola affinché i morti non vengano a visitare le case in cui hanno dimorato. 
In molte zone del nord d'Italia, i contadini lasciano sulla tavola un lume acceso, un secchio d'acqua e un po' di pane. In Abruzzo e in Puglia è diffusa l'usanza della questua: gruppi di contadini vanno di casa in casa cantando delle canzoni rivolte alle massaie, le quali offrono alla brigata castagne, dolci e vino.
Il cibo di rito per la ricorrenza dei morti sono le fave.


(foto da internet)

"Secondo gli antichi - sostiene il Pitrè - le fave contenevano le anime dei loro trapassati: erano sacre ai morti. Presso i Romani avevano il primo posto nei conviti funebri". 
Oggigiorno le fave dei morti sono, di regola, sostituite con dolci di egual nome, e di foggia più o meno simile. In molte zone d'Italia questi dolci caratteristici prendono il nome di ossa dei morti.
Ciononostante, questa è la ricetta del piatto che, con qualche piccolo cambiamento, ancora si mangia in molte zone d'Italia.

mercoledì 28 ottobre 2015

Mantova, Capitale italiana della cultura

Mantova Capitale Italiana della cultura 2016 
 foto da www.repubblica.it


Mantova è la Capitale italiana della cultura 2016. Ad annunciarlo, il ministro Dario Franceschini al termine di una breve cerimonia che si è tenuta al ministero della Cultura dove si è riunita la commissione. "Sono particolarmente emozionato", le prime parole del sindaco, Mattia Palazzi. Scelta tra le 10 città finaliste, Mantova ha così battuto le "rivali" concorrenti Aquileia, Como, Ercolano, Parma, Pisa, Pistoia, Spoleto, Taranto e Terni. Oltre allo scettro di capitale, alla vincitrice anche un milione di euro per realizzare il progetto presentato e l'esclusione delle risorse investite dal vincolo del patto di stabilità.


 


L'idea di designare una Capitale italiana della Cultura è stata del ministro Fransceschini che dopo l'assegnazione a Matera del titolo di Capitale europea per il 2019, ha dichiarato le città italiane concorrenti capitali per il 2015 (Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena). Il titolo è stato istituito dalla legge Art Bonus. Franceschini aveva spiegato che "le candidature si erano dimostrate un'esperienza formidabile per le sei città e molto importante per il Paese, perché il meccanismo di competizione e di selezione aveva spinto a una cosa di cui c'è grande bisogno in Italia, cioè una programmazione complessiva". "Le città - aveva sottolineato - hanno ragionato su un progetto a lungo termine in un insieme di eventi di restauro, recupero, proposte progettuali, che dimostrano che esattamente questa è la strada virtuosa da percorrere".

lunedì 26 ottobre 2015

Lessico e arte (V)

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 (foto da internet)

Il ciglio (attenzione, al plurale le ciglia) è: "L’orlo delle palpebre, fornito di piccoli peli ricurvi, che hanno la funzione di difendere l’occhio" e il sopracciglio (plurale irregolare le sopracciglia) è: "Ognuno dei due rilievi arcuati esistenti in corrispondenza o immediatamente al disopra dell’arcata orbitaria, provvisti di peli più o meno fitti di colore generalmente uguale a quello dei capelli".
Nel cosiddetto ritratto di Paquio Proculo, si osservano due giovani coniugi accuratamente descritti nelle loro fattezze, nelle acconciature, nelle espressioni, e nei gesti spontanei e naturali. 



(foto da internet)
La cosmetica femminile, ebbe presso i Romani notevole importanza: le ciglia e le sopracciglia, ed il contorno degli occhi, erano, di solito, delineati con la fuliggine e, se necessario, le donne indossavano sopracciglia e ciglia finte.
L'affresco è conservato presso il Museo archeologico nazionale di Napoli ed è stato rinvenuto nella casa di Pansa negli scavi archeologici di Pompei.


 (foto da internet)

I due giovani borghesi pompeiani, quasi certamente marito e moglie, sono comunemente indicati come Paquio Proculo e sua moglie, a causa di una scritta rinvenuta sull'esterno della casa; in realtà si tratterebbe del panettiere Terentius Neo, come rivelerebbe un graffito rinvenuto all'interno della casa, mentre la scritta esterna apparteneva ad un manifesto di propaganda elettorale a favore di Paquio Proculo, effettivamente poi eletto come duoviro di Pompei.
Paquio (o Terentius) è abbigliato con la toga e stringe un rotolo di papiro, mentre la donna tiene in mano una tavoletta cerata e lo stilo.
Ecco i modi di dire con la parola ciglio (vedi>>).
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venerdì 23 ottobre 2015

Il babà



 (foto da internet)

Il Babà è un dolce tipico della pasticceria napoletana elaborato con pasta lievitata, di consistenza spugnosa, che viene imbevuto in uno sciroppo liquoroso che gli conferisce l’inconfondibile sapore. 
Ha una caratteristica forma a fungo di varie dimensioni, e si può degustare anche nella variante a ciambella, farcita con la panna  o con la crema pasticcera e frutta sciroppata (vedi la ricetta>>). 
Da dove viene il babà? La sua origine è lontana da Napoli: a quanto pare fu inventato nel '700 dall’ex re polacco Stanislao Leszczinski, suocero di Luigi XV di Francia, durante il suo esilio nel Ducato di Lorena, a seguito della sconfitta militare contro Pietro il Grande



 (foto da internet)

La leggenda vuole che il re Stanislao, affranto e amareggiato cercò di curare questo suo stato emotivo con qualcosa di dolce. I cuochi gli portavano spesso un dolce tipico della sua terra, fatto con farina, burro, zucchero, uova e uva sultanina. 
Il sovrano non dovette gradire troppo la continua ripetizione dei pasticceri e un giorno, infuriato per l’ennesima razione di dolce, lo lanciò lontano, colpendo una bottiglia di rhum; nell'aria si sprigionò un particolare profumo e Stanislao, incuriosito, assaggiò il dolce imbevuto di liquore. 
Gli piacque molto e dedicò questa sua creazione ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da Le Mille e Una Notte, che era solito leggere. 
Dalla Lorena il babà arrivò a Parigi, nella pasticceria Sthorer, ancor oggi molto rinomata in città, situata al numero 51 di rue Montorgueil


 (foto da internet)

Nacque così il babà Savarin che racchiudeva la macedonia in un babà senza uvetta, spennellato con una confettura di albicocche. 
Nell’800, sotto il dominio dei Borboni, la cucina napoletana conobbe l'influenza d'Oltralpe, grazie all’arrivo dei cosiddetti monsù, gli chef francesi che furono chiamati in città per prestare servizio presso le nobili famiglie napoletane. Con essi, giunse in città il babà
Le pasticcerie napoletane più rinomate per i babà tradizionali sono la Pasticceria Tizzano, in Corso Meridionale 16 e la Pasticceria Capparelli, in Via dei Tribunali 327.



 (foto da internet)

Oggigiorno, esistono golose varianti del babà: si può degustare, infatti, ripieno con del cioccolato o della panna, con crema pasticcera, chantilly, fragole e amarene oppure al limoncello o, addirittura, al bergamotto
Il babà si sposa assai bene con vini liquorosi o con il moscato
E’, a pieno diritto, un dolce da passeggio, da gustare in pochi morsi per le strade del centro città. 
Ricordiamo anche l’espressione napoletana si’ nu babà (sei un babà), che denota una persona dolce, affettuosa e adorabile...
 

mercoledì 21 ottobre 2015

Una camminata lunga un giorno

(foto da internet)
Una passeggiata intorno a Milano lunga 42.195 chilometri, insomma una vera e propria maratona. 
Perché non chiamarla allora Maratown. 
Questa lunga camminata è uno degli eventi speciali di BookCity: si svolge nell’arco di un’intera giornata, 
dalle 0.01 alle 23.59 di sabato 24 ottobre, percorrendo in senso orario, da Niguarda, 
quartieri e periferie. 
L’evento, ideato dal giornalista Gianmarco Bachi insieme con lo scrittore Gianni Biondillo, è realizzato
da «Sentieri Metropolitani» (progetto di Trekking Italia con il sostegno di Fondazione Cariplo) e da 
«Piacere, Milano», piattaforma di turismo collaborativo e narrazione della città. 
La partecipazione a Maratown è libera (iscrizioni su piaceremilano).

(foto da internet)
Due regole: non è una corsa. Dunque non è obbligatorio percorrere per intero il cammino, si può fare anche
un solo tratto. Radio Popolare seguirà la maratona con diretta notturna e collegamenti durante il giorno
Il cammino è suddiviso in dodici tappe, approdi dove i maratoneti fanno sosta. Lungo il tragitto ospiti
 — scrittori e musicisti — affiancano i camminatori: per scaldare gli animi. Qui troverete il percorso.

(foto da internet)
Durante le soste si tengono incontri su libri e progetti: alle 9.30, alla Biblioteca di via Oglio, Sergio Ferrentino e il trainer Antonio La Torre parlano di «Olimpicamente», storie sportive in forma di audio dramma; alle 12, alla Biblioteca Chiesa Rossa, Biondillo presenta il suo ultimo romanzo L’incanto delle sirene (Guanda); alle 18.30, a Mare Culturale Urbano, il giornalista Giordano Casiraghi parla di
Che musica a Milano (Zona): luoghi e ritrovi storici della città. Cena en plein air a Cascina Aperta di Coopi, dove a beneficio degli ospiti si sfidano a colpi di portate scout e cuochi. L’arrivo è al palazzetto Iseo
da poco restituito alla città, perfetta metafora di una metropoli che si riappropria del suo territorio

lunedì 19 ottobre 2015

Lessico e arte (IV)






 (foto da internet)

Passiamo all'orecchio (pl. f.  le orecchie), che secondo il dizionario è: " (...) organo pari dei vertebrati, situato ai due lati del capo, che ha la caratteristica funzione dell’udito e partecipa, insieme ai centri encefalici e midollari, alla regolazione dell’equilibrio statico e dinamico".
Ebbene, a Milano esiste una casa con un orecchio! Si chiama, in dialetto, “Cà dell’oreggia” (casa dell’orecchio) ed è una bellissima costruzione in stile liberty, progettata nella seconda metà degli anni '20, dall’artista mantovano Aldo Andreani.




 (foto da internet)

Per chi si andasse in vacanza nel capoluogo lombardo, consigliamo un tour attorno a Corso Venezia (leggi>>), che includa la visita alla cosiddetta casa Sola-Busca, un bel palazzo che si trova in via Serbelloni 10, nei pressi della famoso viale, e che deve il suo nome al grande orecchio di bronzo, dotato di padiglione auricolare e condotto uditivo esterno, posto accanto alla porta di ingresso.
Il grande orecchio fu concepito come citofono (!) -tra l’altro è stato uno dei primi esemplari dell’epoca- ma non è più funzionante, ma è comunque visibile.
Anche l'orecchio-citofono è opera di Ado Andreani.
Ecco, come sempre, i modi di dire con il termine orecchio (leggi>>).





venerdì 16 ottobre 2015

La sciarpa





(foto da internet)
 
La sciarpa è uno degli accessori più antichi del nostro guardaroba. In passato erano le nonne e le mamme che le realizzavano col ferro da maglia e coi gomitoli di lana.
Il termine sciarpa proviene dal francese echarpe. Negli anni, da semplice capo di abbigliamento utilizzato per scaldarsi nelle fredde temperature invernali, la sciarpa è diventata un accessorio indispensabile per arricchire il nostro look.
La sciarpa può essere indossata intorno al collo o vicino alla testa, per coprirsi dal freddo, per eleganza o per motivi religiosi. Indossata a tracolla, una sciarpa può fungere anche da insegna di particolari cariche militari o civili (di color turchino da ufficiale delle forze armate, tricolore da sindaco, ecc.)..


(foto da internet)

La sciarpa può essere di varie lunghezze ed essere fermata al collo in mille modi diversi: indispensabile per restare al caldo nei giorni più freddi, e indossata nel modo giusto per avere un tocco più raffinato.
La sciarpa di lana è un vero e proprio must per affrontare il freddo che si avvicina: a tinta unita o fantasia, il segreto per usarla in tutte le occasioni sta proprio nel come indossarla.
I cosiddetti giri, o nodi, sono davvero tanti: ve ne proponiamo alcuni (guarda >>). Provate a farli allo specchio e aggiungerete un tocco di raffinatezza al vostro look.
Ah! Se proprio non riuscite ad annodarla, potrete sempre ricorrere alla sciarpa camaleonte, stampata con inchiostro termocromico, cambia colore secondo la luce del sole... Sarà??!!
 

mercoledì 14 ottobre 2015

Il carnevale più bello del mondo

(foto da internet)

Il carnevale di Venezia, se non il più grandioso, è sicuramente il carnevale più conosciuto per il fascino che esercita e l'aura di mistero che continua ad avere anche adesso che sono trascorsi 900 anni dal primo documento che fa riferimento a questa famosissima festa. 
Si hanno ricordi delle festività del Carnevale fin dal 1094, sotto il dogato di Vitale Falier, in un documento che parla dei divertimenti pubblici nei giorni che precedevano la Quaresima. Il documento ufficiale che dichiara il Carnevale una festa pubblica è del 1296 quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo l’ultimo giorno della Quaresima.
Tuttavia il Carnevale ha tradizioni molto più antiche che rimandano ai culti ancestrali di passaggio dall’inverno alla primavera, culti presenti in quasi tutte le società, basti pensare ai Saturnalia latini o ai culti dionisiaci nei quali il motto era “Semel in anno licet insanire” (“Una volta all’anno è lecito non avere freni”) ed è simile lo spirito che anima le oligarchie veneziane e le classi dirigenti latine con la concessione e l’illusione ai ceti più umili di diventare, per un breve periodo dell’anno, simili ai potenti, concedendo loro di poter burlare pubblicamente i ricchi indossando una maschera sul volto. 
(foto da internet)

Se un tempo il Carnevale era molto più lungo e cominciava addirittura la prima domenica di ottobre per intensificarsi il giorno dopo l’Epifania e culminare nei giorni che precedevano la Quaresima, oggi il Carnevale ha la durata di circa dieci giorni in coincidenza del periodo pre-pasquale ma la febbre del Carnevale comincia molto tempo prima anzi, forse non è scorretto dire che, a Venezia, la febbre del Carnevale non cessa mai durante l’anno. Una sottile euforia si insinua tra le calli della città più stravagante del mondo e cresce impercettibilmente, sale con la stessa naturalezza dell’acqua, sfuma i contorni della cose, suggerisce misteri e atmosfere di tempi andati.

(foto da internet)

Un tempo il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da parte le occupazioni per dedicarsi totalmente ai divertimenti, si costruivano palchi nei campi principali, lungo la Riva degli Schiavoni, in Piazzetta e in Piazza San Marco. La gente accorreva per ammirare le attrazioni, le più varie: i giocolieri, i saltimbanchi, gli animali danzanti, gli acrobati; trombe, pifferi e tamburi venivano quasi consumati dall’uso, i venditori ambulanti vendevano frutta secca, castagne e fritòle (le frittelle) e dolci di ogni tipo, ben attenti a far notare la provenienza da Paesi lontani delle loro mercanzie. La città di Venezia, grande città commerciale, ha sempre avuto un legame privilegiato con i Paesi lontani, con l’Oriente in particolare cui non manca, in ogni edizione del Carnevale, un riferimento, un Filo Rosso che continua a legare la festa più nota della Serenissima al leggendario Viaggio del veneziano Marco Polo verso la Cina alla corte di Qubilai Khan dove visse per circa venticinque anni. Un Filo Rosso che si snoda lungo l’antica e famigerata via della Seta.

(foto da internet)

Per molti giorni all’anno, il mondo sembrava non opporre più resistenza:  i desideri diventavano realizzabili e non c’era pensiero o atto che non fosse possibile. Questa era Venezia nel Settecento, il secolo che, più di ogni altro, la rese luogo dalle infinite suggestioni e patrimonio della fantasia del mondo. Venezia era allora il mondo di Giacomo Casanova, un mondo superficiale, festante, decorativo e galante, il mondo di pittori come Boucher e Fragonard, Longhi, Rosalba Carriera e Giambattista Tiepolo, la patria del padre della Commedia dei Caratteri, uno dei più grandi autori del teatro europeo e uno degli scrittori italiani più conosciuti all’estero: Carlo Goldoni che, in una poesia dedicata al Carnevale, così rappresenta lo spirito della festa:
“Qui la moglie e là il marito 
Ognuno va dove gli par 
Ognun corre a qualche invito, 
chi a giocar chi a ballar”.

Nel XIX secolo, invece, Venezia e il suo Carnevale incarnano il mito romantico internazionale e la città della Laguna, con le sue brume e l’aspetto paludoso, diventa meta di artisti, scrittori, musicisti, avventurieri e bellissime dame di tutto il mondo: Sissi d’Austria, Wagner, Byron, George Sand, Ugo Foscolo.
Il Carnevale ebbe un momento di stasi dopo la caduta della Repubblica di Venezia perché malvisto dalla temporanea occupazione di austriaci e francesi. La tradizione si conservò nelle isole, Burano, Murano, dove si continuò a festeggiare. Solo alla fine degli anni Settanta del XX secolo alcuni cittadini e associazioni civiche si impegnarono per far risorgere il Carnevale che venne inaugurato nel 1979. Il Comune di Venezia, il Teatro La Fenice, l’azienda provinciale di soggiorno e la Biennale prepararono un programma di 11 giorni lasciando anche molto spazio all’improvvisazione e alla spontaneità senza dimenticare un supporto logistico con mense e alloggi a prezzi accessibili.

(foto da internet)

Il Carnevale dei nostri giorni è un magnifico happening che coinvolge grossi sponsor, le reti televisive, le Fondazioni culturali e che richiama folle di curiosi da tutto il mondo con migliaia di maschere in festa e con una pacifica e sgargiante occupazione della Laguna.
Tra le calli della meravigliosa città, per una decina di giorni, si svolge una continua rappresentazione di teatrale allegria e giocosità, tutti in maschera a celebrare il fascino di un mondo fatto di balli, scherzi, galà esclusivi e romantici incontri.
(foto da internet)

Orbene, vi chiederete perché a Ottobre parliamo di Carnevale e ci saltiamo Natale. Ecco la risposta: quest'anno il Dipartimento d'italiano della EOI di Sagunt ha deciso di organizzare un viaggio a Venezia nel periodo di Carnevale. E come potete immaginare, se non ci muoviamo da adesso... i prezzi salgono alle stelle...

Qui troverete tutta l'informazione. 

lunedì 12 ottobre 2015

Lessico e arte (III)




 (foto da internet)

Il naso, secondo il dizionario, è: "(...) la parte prominente del volto, che protegge la mucosa olfattiva e fornisce una specie di vestibolo alle vie aeree superiori". 
Uno dei nasi più famosi dell'arte italiana è senza dubbio quello del Duca Federico da Montefeltro, duca di Urbino, dipinto da Piero Della Francesca.
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L'opera, realizzata ad olio su tavola (47x33 cm) attorno al 1466, è considerata uno dei capolavori del Rinascimento. Forma parte di un dittico composto da tre dipinti, con tre distinti paesaggi.
Nella parte anteriore, il Duca Federico da Montefeltro e sua moglie Battista Sforza sono raffigurati a mezzo busto, l'uno di fronte all'altro.

 (foto da internet)

Sul retro, i Trionfi, dove i due personaggi sono raffigurati seduti su carri trionfali e sembrano procedere l'uno verso l'altro. L'opera fu commissionata dallo stesso duca Federico al pittore toscano per tramandare alla storia la gloria delle sue imprese, il suo potere, la magnificenza dei suoi possedimenti e la bellezza della sua terra.
Il Dittico è conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
I due dipinti sono oggi uniti da un'unica cornice, ma anticamente facevano parte di un dittico con cerniera, da aprirsi come un libro. 


(foto da internet)


I sovrani sono raffigurati di profilo, in un'immobilità solenne.
Battista Sforza ha la pelle chiara; la fronte è altissima e l'acconciatura è intessuta di panni e gioielli.
Il ritratto di Federico è incorniciato dal forte rosso della veste e della berretta. I capelli sono irsuti, lo sguardo fiero e lontano. Il naso adunco e rotto. La pelle è dipinta nei minimi particolari.

Per chiudere, ecco i modi di dire con la parola naso (leggi>>).

venerdì 9 ottobre 2015

Er fontanone

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 (foto da internet)
 
La grande bellezza, il film di Paolo Sorrentino, ha inizio davanti alla monumentale fontana del Gianicolo (chiamata a Roma "er Fontanone").
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Prima che Jep Gambardella entri in scena, il cannone del Gianicolo spara verso la macchina da presa e sveglia la città. Un coro femminile intona canti celestiali alla fontana, e un turista giapponese stramazza al suolo dopo l'ennesima fotografia, con il cuore trafitto da tanta bellezza.
Er Fontanone (a cui Antonello Venditti rende omaggio nella canzone Roma Capoccia) è sito in cima a via Garibaldi (vi consigliamo di percorrerla in salita, partendo dalla chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori), venne realizzato, per volontà di papa Paolo V, da Giovanni Fontana, con la collaborazione di Flaminio Ponzio, e costituisce la parte finale dell'Acquedotto dell'Acqua Paola, ossia l'antico AcquedottoTraiano, proveniente dal lago di Bracciano. Traiano fece costruire l'acquedotto nel 109 d.C., per approvvigionare il Trastevere: il percorso totale è di circa 57 km. 




(foto da internet)
 
I due architetti, tra il 1610 ed il 1612, portarono a termine la fontana, che, in origine, non aveva né il vascone attuale (solo cinque piccole vasche per altrettante bocche d'acqua), né la piazza antistante, che oggi consente di ammirarla in tutta la sua grandezza. 
Nel XVII secolo la fontana si trovava sull'orlo del colle che in quel punto era tagliato a picco, e l'acqua scendeva verso il basso come fosse una cascata. 
Solo nel 1690, il pontefice AlessandroVIII provvide alla pulizia delle condutture e all'immissione di nuove acque, e fece creare l'attuale piazzale, che rafforzò con solide mura. Inoltre fece aggiungere l'ampia e magnifica vasca di marmo realizzata da Carlo Fontana


(foto da internet)

Nel 1698, Innocenzo XII fece recingere la fontana con l'attuale balaustrata di colonnine, unite con sbarre di ferro, per evitare che i carrettieri vi abbeverassero i cavalli. L'edificio, costituito da tre ampie nicchie centrali fiancheggiate da due minori laterali, fu costruito in pietra tiburtina. È ornato da sei colonne ioniche, quattro di granito rosso e due laterali di granito grigio. 
Sopra l'architrave si eleva l'attico, a sua volta sormontato da una nicchia ad arco con gli emblemi araldici di Paolo V: un drago ed un'aquila sorretti da due angeli. 
L'attico presenta un'ampia lastra marmorea incorniciata ed incisa con magnifici caratteri, nella quale si legge: PAULUS QUINTUS PONTIFEX MAXIMUS AQUAM IN AGRO BRACCIANENSIS SALUBERRIMIS E FONTIBUS COLLECTAM VETERIBUS AQUAE ALSIETINAE DUCTIBUS RESTITUTIS NOVISQUE ADDITIS XXXV AB MILLIARIO DUXIT (Restaurate le vecchie condotte dell'acqua di Alsio ed aggiunte delle nuove dalla XXXV pietra miliare, Paolo V Pontefice Massimo portò l'acqua raccolta nella campagna delle assai salubri fonti di Bracciano). 


 (foto da internet)

La realizzazione dell'acquedotto consentì per la prima volta l'ingresso dell'acqua nelle case di Borgo e Trastevere, ma si trattava di acqua non perfettamente potabile.
I  romani, infatti, coniarono il detto Valere quanto l'acqua Paola, per indicare qualcosa di poco valore. 
Nel XVII secolo, per volontà di papa Alessandro VII, il giardino alle spalle del Fontanone, venne adibito ad Orto Botanico e affidato alle cure  dell'Università della Sapienza. Nel 1820, l'Orto Botanico venne trasferito e attualmente un cancello immette all'interno del giardino, nel quale vi è un ninfeo con lo stemma di Innocenzo XII, in asse con il nicchione centrale della fontana, attraverso il quale si gode un meraviglioso panorama della città eterna.
Alla Fontana dell'Acqua Paola, il musicista Charles Griffes dedicò un bellissimo brano per pianoforte (ascolta>>).

mercoledì 7 ottobre 2015

Il Made in Italy su Amazon


(foto da internet)

Amazon ha lanciato a Firenze lo shop dedicato al Made in Italy e lo ha fatto con un omaggio al Belpaese, quando ha annunciato, per bocca di un suo che "Made in Italy" è la locuzione più cercata sul motore di ricerca di Amazon. La scelta di dedicare a Firenze la vetrina dello spazio, così come il lancio dell'iniziativa, è stata legata al fatto che il capoluogo toscano, ha spiegato Nuyt, "è una bellissima città, dove la produzione artigianale ha una lunghissima tradizione"

(foto da internet)

Lo shop, lanciato lunedì scorso, in Palazzo Vecchio dal Country manager di Italia e Spagna Francois Nuyt e dal sindaco Dario Nardella, è dedicato ai prodotti delle botteghe artigiane italiane. La vetrina della pagina, cliccabile su 'Amazon Made in Italy', è dedicata proprio a Firenze, con un video sulla città e link diretti alle creazioni degli artigiani del capoluogo toscano, grazie alla collaborazione con Oma. Firenze, è stato spiegato nel corso della conferenza, è la prima città del mondo alla quale Amazon dedicata una vetrina ad hoc sulla propria piattaforma. E sono già 5.000, al momento del lancio, i prodotti a disposizione sullo shop, con schede dettagliate dove i clienti possono vedere immagini, informarsi sul luogo di creazione e le tecniche utilizzate. Obiettivo del negozio virtuale è potenziare le vendite dell'artigianato italiano all'estero, ponendolo a portata di clic degli oltre 285 milioni utenti Amazon del mondo.
"Nell'ultimo anno - ha spiegato Francois Saugier, direttore Eu MArketplace Amazon - il numero delle aziende italiane che hanno esportato grazie ad Amazon è cresciuto del 90%. Sono 133 i milioni di euro fatturati da queste imprese con le esportazioni"

(foto da internet)

Ma nel mezzo dell'iniziativa ha trovato spazio anche la tematica fiscale, già al centro di indagini da parte di Bruxelles su presunti aiuti di Stato in Lussemburgo. La società ha invece detto che dal primo maggio 2015 Amazon ha una partita Iva italiana e quindi paga in Italia le tasse sui ricavi generati dalle vendite sul mercato italiano. La domanda era stata rivolta dai giornalisti presenti a Nuyt, che non ha risposto, ma un portavoce ha successivamente detto che Amazon, con la partita Iva, paga le tasse in Italia. L'apertura della partita Iva, ha poi aggiunto, è legata a un cambiamento nella policy aziendale stabilito due anni fa: una misura analoga è stata adottata in Spagna, Uk, e Germania, e presto avverrà anche in Francia.

lunedì 5 ottobre 2015

Lessico e arte (II)




 (foto da internet)

Continuiamo il nostro percorso nel campo lessicale delle parti del corpo in italiano e l'arte.
Oggi parlemo dei capelli. Secondo il dizionario: "Si chiamano capelli i peli che coprono la parte alta e posteriore del capo". 
Per illustrarli abbiamo scelto un quadro  di Lorenzo di Credi, conservato presso la Pinacoteca di Forlì, La Dama dei gelsomini. 



 (foto da internet)

Il ritratto è  velato di mistero, sia per l’attribuzione artistica che per l’individuazione  del soggetto. La dama raffigurata si trova in una loggia, è resa a mezza figura, è di tre quarti, con il viso rivolto verso lo spettatore. Le mani bellissime e affusolate poggiano su un vaso di gelsomini dal quale sta cogliendo un fiore. I capelli dorati, le scendono, in riccioli,  sino alla nuca.
Si suppone che l’effigiata sia Caterina Sforza (Milano 1463 - Firenze 1509), donna dalla vita avventurosa.  La Sforza  nutrì una forte passione per la botanica e per i rimedi naturali. Ci ha tramandato un libro assai interessante: Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, composto da 471 ricette che illustrano dei procedimenti per combattere le malattie e per conservare la bellezza del viso e del corpo, tuttora in commercio. 



 (foto da internet)

Le cronache del tempo ci informano che la Sforza era una donna di straordinaria bellezza. Sicuramente per questo motivo gran parte del trattato è costituito da ricette per preservare tale bellezza, secondo i canoni dell'epoca: per "fare la faccia bianchissima et bella et colorita", per "far venure li capelli rizzi", per "far li capelli biondi de colore de oro" e per, attenzione, "far crescere li capelli" (Donna Caterina, ci ho provato ma non funziona...).