venerdì 31 gennaio 2014

C'era una volta una gatta (chiamata Paoli)


(foto da internet)

L'Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente ha lanciato di recente un'idea per proteggere gli animali domestici: 
aggiungerli allo stato di famiglia e dar loro il nostro cognome!
Come si fa (vi chiederete)? Bisognerà andare all'anagrafe? No. Basterà aggiungere, in sede di registrazione del microchip ai dati relativi al nostro cane, gatto, canarino o criceto anche il nostro cognome, in modo che il nostro animale di casa sia facilmente identificabile con noi e con la nostra famiglia.
L'animale domestico passerebbe così a formar parte, de facto e de jure della nostra famiglia: insomma, uno in più in mezzo a noi.



(foto da internet)

Secondo l'associazione in questione l’obiettivo principale è quello di far riconoscere gli animali come esseri senzienti dalla legge, e per far ciò occorre dare ai nostri amici a quattro zampe la possibilità di entrare in maniera concreta nella nostra famiglia secondo il modo previsto dalla legge: dando loro il nostro cognome.
Quindi, vi consigliamo di aggiungere il vostro cognome, quando si registra un amico a quattro zampe. Il presidente dell'associazione, il signor Lorenzo Croce, ha deciso di aggiungere il proprio cognome al suo gatto, micio che sul suo libretto veterinario vanta il nome di chiama Gatto Michele Croce. 



(foto da internet)

La misura è, senza dubbio, interessante, anche se è un po' strano, lo ammetto, pensare alla gatta di Gino Paoli col cognome del cantante genovese, o ai famosi 44 gatti del mitico Zecchino d'Oro: chiamarli per nome e cognome sarebbe stata una gran fatica!



mercoledì 29 gennaio 2014

Sorpresa Whirlpool!

La Whirlpool chiude la fabbrica in Svezia e sposta la produzione in Italia? Ebbene sí!


(foto da internet)

Alcune aziende lo hanno fatto di nascosto, altre, invece, si trasferiscono per razionalizzare i costi. Però, mentre molte aziende si spostano dall’Italia all’estero, Whirlpool ha stupito tutti con una mossa controcorrente: ha annunciato la chiusura della fabbrica di Norrkoeping, Svezia, per trasferire la produzione di microonde ad incasso nel varesotto, e

più precisamente a Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese, dove si trova il principale centro Whirlpool.

(foto da internet)

L’intenzione di chiudere la fabbrica svedese va nella direzione di trasformare il varesotto nell’hub di tutti gli elettrodomestici da incasso del gruppo nell’aerea Emea. Basti pensare che l’anno scorso a Cassinetta (2mila addetti) sono stati prodotti 1,7 milioni di pezzi tra forni microonde a incasso, frigoriferi e piani cottura. Con il trasferimento della produzione dal sito di Norrkoeping e con i pezzi che arrivano da Trento (frigoriferi da incasso) si potrebbe arrivare a una produzione di circa 2,4 milioni nella zona di Varese, chiamata per questo metaforicamente la capitale del freddo. Nelle prossime settimane Whirlpool incontrerà i rappresentanti sindacali dei lavoratori per l’apertura di un tavolo negoziale riguardo alle intenzioni di chiusura del centro svedese che conta attualmente 334 addetti.

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 «L’assetto produttivo attuale dell’incasso non è più competitivo. Questo piano ci aiuterà a migliorare la nostra posizione sui costi e creerà consistenti economie di scala» ha annunciato Davide Castiglioni, vice president Industrial Operations, Whirlpool EMEA. Ma l’operazione, a livello simbolico, fa sperare in qualcosa di più. Perché se è ancora troppo presto per parlare di nuove assunzioni, non è invece affatto prematuro sperare in un riassorbimento dei lavoratori in mobilità. A giugno del 2013 infatti la società ha annunciato l’intenzione di chiudere il suo stabilimento di Spini di Gardolo, a nord di Trento, dove lavoravano 450 persone.





 Com’è noto, quello che viene comunemente definito il settore del bianco (elettrodomestici, lavatrici, frigoriferi etc etc), è in crisi nera. Il crollo dei consumi di questo comparto in Italia ha toccato doppie cifre se si confrontano i dati con il periodo pre 2007. Una situazione a cui non è riuscita a sottrarsi ovviamente neanche Whirpool, multinazionale americana da 10.400 dipendenti che nel primo semestre del 2013 ha registrato un rosso di 14 milioni di dollari (in Europa) e nell’estate del 2013 ha dato via libera in Italia a un piano di ristrutturazione incisivo.

Fa proprio fresco...in Italia!





lunedì 27 gennaio 2014

Luoghi d'Italia (isole I)



(foto da internet)

Il nostro viaggio ci porta in Sicilia, in provincia di Ragusa, alla volta di Monterosso Almo, borgo che, in età normanna, si chiamava Lupia per la presenza dei lupi.
La visita parte da piazza San Giovanni, chiamata in dialetto u chianu, il piano, in rapporto con l’andamento a saliscendi del paese, che segue le curve della montagna. Un lato della piazza è occupato dalla chiesa di San Giovanni Battista, opera di Vincenzo Sinatra (1707-1765), architetto attivo nella Sicilia orientale ricostruita dopo il terremoto del 1693, la chiesa barocca,  è impreziosita da pregevoli stucchi e da piccole cappelle laterali. 
Gli altri lati della piazza sono occupati dal secentesco palazzo dei baroni Noto e da tre edifici ottocenteschi e neoclassici: il Municipio, palazzo Sardo e il monumentale palazzo Cocuzza. A completare la piazza è la chiesa di Sant’Anna, appartenente ai frati minori che l’inaugurarono nel 1652. 


(foto da internet)

Scendendo nella strada principale, Corso Umberto I, e percorrendola tutta, si arriva alla fine del paese, nella zona chiamata Affacciata, dove si trova una fontana con abbeveratoio di forma circolare, al quale si dissetavano gli animali, soprattutto muli e asini, che per secoli hanno accompagnato la vita e il lavoro dei contadini. Da lì la vista spazia sulla valle del fiume Amerillo.
Sempre da piazza San Giovanni si può scegliere un percorso alternativo che scende lungo via Roma per vedere  i palazzi signorili appartenuti alle famiglie nobili o alla borghesia terriera, come il barocco palazzo Burgio e l’ottocentesca casa Barone


(foto da internet)

Da assaggiare il pane locale, vera e propria specialità di Monterosso: a pasta dura, o condito con olio, sale, origano e formaggio, ha una bontà d’altri tempi. Ci sono anche i pani per le ricorrenze speciali, a forma di seno per la festa di Sant’Agata o di occhi per quella Santa Lucia, le focacce e vari tipi di biscotti
Degni di nota sono anche i cavatieddi, pasta fatta in casa, arrotolata con le dita e condita con sugo. 
Buon viaggio!

venerdì 24 gennaio 2014

Addio Maestro!


(foto da internet)

La scomparsa del Maestro Claudio Abbado ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo culturale.
Il grande musicista fece dell'arte un modello di libertà, contrappose l'uguaglianza al divismo, manifestò un impegno politico educato, difese la sobrietà civile. Parimenti, fomentò una stretta collaborazione tra le varie arti e una reale collaborazione tra arte, scienza ed etica.
La sua fu una carriera contrassegnata da un repertorio artistico sconfinato, che va da  Monteverdi a Luigi Nono.  
Abbado nacque a Milano nel 1933 da una famiglia della borghesia colta. Il padre fu insegnante di violino e la madre fu pianista e scrittrice.  Si diplomò in pianoforte e in direzione d'orchestra al Conservatorio del capoluogo lombardo. 
Grazie a una borsa di studio, tra il 1955 e il 1958, si recò a Vienna dove seguì i corsi magistrali dei maggiori direttori d'orchestra del mondo, fra i quali Bruno Walter, George Szell e Herbert von Karajan. 



(foto da internet)


Partecipò anche ai corsi dell'Accademia Chigiana a Siena e, nel 1958, vinse il concorso Koussevitzky della Boston Symphony Orchestra.  Un traguardo che gli consentì di dirigere la prestigiosa New York Philharmonic Orchestra.
Nel 1959 debuttò in Italia, al Teatro Verdi di Trieste e l'anno dopo esordì alla Scala di Milano
Da allora per il giovane Abbado iniziò un'imparabile ascesa: nel '63 vinse il prestigioso Premio Mitropoulos messo in palio dalla New York Philharmonic Orchestra e poco dopo Karajan lo chiamò a dirigere i Filarmonici di Vienna nella complessa Seconda Sinfonia di Mahler al Festival di Salisburgo
Nella stagione '66-'67 diresse I Capuleti e i Montecchi di Bellini, con Renata Scotto e Luciano Pavarotti. Capolavoro che porterà in tournèe a Montreal e a Edimburgo.
Nello stesso anno diresse la sua prima apertura scaligera con Lucia di Lammermoor di Donizetti, e firmò un contratto con la prestigiosa etichetta discografica Deutsche Grammophon.  Due anni dopo, venne nominato direttore musicale della Scala. 



(foto da internet)

Per il noto teatro milanese si aprì la cosiddetta 'stagione Abbado': una delle più felici della sua storia. 
Accanto al soprintendente Paolo GrassiClaudio Abbado attuò una vera rivoluzione, ampliando enormemente il repertorio della Scala, con opere di Berg, Schoenberg e Stravinsky.
Abbado impose anche un rinnovamento nell'approccio all'esecuzione, con la ricerca di partiture originali e una lettura più filologica. 
Con Abbado alla Scala ebbe inizio il periodo di maggiore internazionalizzazione del teatro milanese, con l'arrivo sul podio dei più grandi direttori del mondo, da Georg Solti a Carlos Kleiber, da Herbert von Karajan a Karl Boehm, Leonard Bernstein, Riccardo Muti, e con l'ampliamento del repertorio sinfonico che portò il maestro a fondare, nel 1982, l'Orchestra Filarmonica della Scala.
Nel 1971 diventò direttore principale dei Filarmonici di Vienna e l'anno dopo fu nominato primo direttore ospite della London Symphony
Nel 1978 fondò l'Orchestra Giovanile Europea e allargò il suo repertorio spingendosi all'indietro fino a Johann Sebastian Bach. 
Nel 1986 la collaborazione tra Abbado e la Scala finì. 
Il maestro divenne direttore musicale della Staatsoper di Vienna e fondò la Gustav Mahler Jugendorchester
A Vienna diresse il noto Concerto di Capodanno dell'88 e poi avviò una serie di esecuzioni e incisioni discografiche con i Wiener Philharmoniker.


(foto da internet)


Alla morte di Herbert von Karajan i membri dei Berliner Philharmoniker lo elessero direttore principale della prestigiosa orchestra, considerata la migliore del mondo. Abbado fu il primo direttore non di lingua e cultura tedesca ad essere eletto direttamente dagli orchestrali, e assunse sulle sue spalle l'ingombrante eredità di una delle più grandi bacchette di tutti i tempi. 
Con l'arrivo del direttore milanese, i Berliner diventarono uno dei fulcri della vita culturale della nuova Germania unificata.
L'esperienza a Berlino si chiuse nel 2002, anno in cui ricevette la Bundesverdienstkreutz mit Stern, la più alta onorificenza tedesca. 




(foto da internet)

Sempre nel 2002, il 13 maggio, diresse l'ultimo concerto, al Musikverein di Vienna, che si concluse con 4mila fiori lanciati sul palco e 30 minuti di applausi! 
Gli anni del dopo-Berlino furono caratterizzati da un'intensa attività, che vide Abbado principalmente impegnato con la nuova Orchestradel Festival di Lucerna.
Nel 2009 si trasferì a Bologna, città nella quale aveva fondato l'Orchestra Mozart di cui divenne direttore musicale e artistico. 
Nel 2005 iniziò a collaborare con l'Orquesta Simon Bolivar, che fa parte del famoso sistema delle orchestre venezuelane portato avanti da 30 anni da Josè Antonio Abreu, e che vede coinvolti 400mila giovani musicisti e da cui escono talenti come Gustavo Dudamel o Diego Matheuz
Da tempo malato, diresse a Lucerna il suo ultimo concerto, nell'agosto del 2013. 
Vorremmo ricordarlo con la spassosissima interpretazione di Pierino e il lupo (1, 2, 3 e 4assieme a Roberto Benigni.
Addio Maestro!

mercoledì 22 gennaio 2014

Vita da cani


(foto da internet)

Costi dei canili troppo elevati per le casse dei comuni in difficoltà finanziaria. Scarsa propensione delle famiglie alla adozione di un animaleMancanza di strutture pubbliche sufficientemente ampie per l’accoglienza. Sono le problematiche legate al randagismo affrontate da molti sindaci italiani. Allora non sembrerà strano che il sindaco di un paese in provincia di Siracusa (Sicilia) offra un'importante opportunità: via la tassaTares a chi adotta un cane. Di quest'argomento se n'è occupata martedì scorso la trasmissione Ballarò, di Rai3. 


In Italia la legge stabilisce con chiarezza che, in assenza di un padrone, ad occuparsi del cane sarà il sindaco della città. Infatti, molto spesso, visto il gran numero di randagi e l’assenza di persone disposti ad adottarli, i costi comunali per la cura dei randagi finisce per superare di gran lunga i costi che lo stesse ente stanzia in favore di persone e famiglie meno abbienti. Lo sanno bene, ad esempio, a Grosseto, dove hanno cominciato a farsi due conti. Silvia Leprai: responsabile del locale canile Zooservice dice che servono in media 4,50 euro al giorno per ogni cane e che ogni animale dovrebbe avere per sè 8 metri quadrati in cui muoversi. Soldi e spazi che il comune riesce con fatica a mettere a disposizione, come conferma  il sindaco della città. Il primo cittadino Emilio Bonifazi fornisce i numeri: «Facciamo che sono 300 cani, noi spendiamo circa dai 550 ai 600mila euro annui». Molto di più, insomma, dei 400mila euro di risorse comunali stanziate, sempre a Grosseto, per andare incontro alle persone che hanno un affitto concordato ed evitare che rischino lo sfratto.


(foto da internet)


Una situazione difficile anche per i centri del sud, dove le spese per i cani sono quasi le stesse, ma le casse dei comuni sono in molti casi vuote. Comune di Solarino, Siracusa: vengono spesi per i cani 54mila euro comprensivi di spese sanitarie, microchippatura, sterilizzazioni, una media di 4 euro al giorno e di circa 1.500 euro all’anno, mentre si ferma a 35mila euro annui, circa 250 euro a persona, il peso sul bilancio delle spese per il sostegno economico alle famiglie. «Spendiamo più per assistere i cani che per assistere le famiglie», dice il sindaco, che ha pensato di trasformare il paradosso in una vantaggiosa opportunità per i cittadini: se il cittadino adotta un cane, sarà esento dal pagare la tassa Tares. Mentre il cittadino si libera di una tassa e trova un nuovo amico, il sindaco risparmia e si toglie un pensiero. Il comune evita, così, un esborso di 1500 euro per adottare il cane e alla famiglia viene tolta un’uscita di diverse centinaia di euro per la tassa sui servizi. Tutto sotto il controllo dei vigili, che due volte all’anno devono verificare presso le famiglie lo stato di buona salute dell’animale.


(foto da internet)


Un escamotage che dovrebbe essere adottato anche in altri comuni limitrofi, per provare definitivamente a risolvere il problema del randagismo nell’area. In provincia di Siracusa le strade sono piene di cani senza padroni e i canili, nello stesso tempo, sono completamente pieni. I sindaci non ce la fanno più, lo Stato sborsa una quantità non sufficiente, e allora si sta pensando a una stramba idea: fare emigrare i cani al nord.

Che vita!

lunedì 20 gennaio 2014

Luoghi d'Italia (XVIII)



(foto da internet)

Il toponimo deriva dal greco Stylos, colonna, da cui, in latino StilumStilo è il baluardo della Calabria bizantina, legata alle colonie greche dell'Italia meridionale e agli insediamenti del monachesimo orientale.
La visita inizia dalla Cattolica, un tempietto del secolo IX che ricalca il tipo classico della chiesa bizantina su pianta quadrata e croce greca, con tre absidi rivolte a oriente e cinque cupolette.
Qui i monaci basiliani, che in Calabria avevano trovato rifugio dalle persecuzioni, perseguivano il loro ideale di povertà e distacco dal mondo. Ciò che colpisce, all´interno, è soprattutto la luce, folgorante nella parte superiore e tenue nella parte bassa, così da favorire il raccoglimento. 
Gli affreschi, scoperti dall'archeologo Paolo Orsi nel 1927, sono gli unici esempi di pittura normanna intorno al 1000 in Calabria.



(foto da internet)

Un altro ricordo lasciato dai monaci in questa Terra Santa del basilianesimo è la piccola chiesa di S. Nicola da Tolentino, in condizioni precarie, con una  cupola a trullo e la caratteristica disposizioni delle tegole che la ricoprono.
Da qui si può ammirare uno splendido panorama del mare e delle colline digradanti della vallata dello Stilaro. 
La visita continua nella chiesa rinascimentale (XV secolo) di S. Francesco, dove si possono ammirare alcuni affreschi attribuiti al pittore stilese Francesco Cozza.


(foto da internet)

Si prosegue verso il piccolo convento della chiesa di S. Domenico, costruita intorno al '600 dai Domenicani, che ospitò il frate Tommaso Campanella nei suoi anni giovanili. 
La visita alle chiese di Stilo si conclude con il Duomo, trecentesco ma variamente rimaneggiato. 
Fu una delle più antiche sedi vescovili della Calabria e presenta almeno tre capolavori: il maestoso portale gotico, incorniciato da tante colonnine; la scultura in pietra alla destra dello stesso portale, raffigurante due uccelli affrontati e stilizzati di fattura normanna o, secondo altri, di mano bizantina; la tela secentesca Il Paradiso del Battistello, pittore napoletano allievo di Caravaggio.


(foto da internet)

Da degustare le olive, i profumatissimi pomodori secchi, il pecorino e gli insaccati di maiale.
Per il pranzo vi consigliamo la pasta fatta in casa, filata con il ferro secondo tradizione, e condita con un ragù di carne di capra o con una salsa di melanzane ripiene.
Buon viaggio!




venerdì 17 gennaio 2014

Il ratafià



(foto da internet)

Il termine ratafià, denominato localmente anche ratafia o rataffia, indica qualsiasi tipo di liquore composto da un infuso a base di succhi di frutta e alcool. 
Molto noto è il ratafià piemontese,  prodotto su tutto l'arco alpino.  
Storica è la produzione ad Andorno Micca, un paese della provincia di Biella, dove già nel 1600 il ratafià veniva prodotto nel monastero di Santa Maria della Sala. 
Successivamente la lavorazione divenne caratteristica di alcune famiglie del paese, e, dal 1880, nel borgo ha sede la storica fabbrica Cav. Giovanni Rapa
Molto importante è anche la produzione del ratafià prodotto nell'Antica Distilleria Alpina Bordiga di Cuneo, risalente al 1888.



(foto da internet)

In Abruzzo, il ratafià è un liquore diffuso in tutta la regione a base di amarene e di vino rosso ottenuto da uve del vitigno Montepulciano. 
È tradizionalmente prodotto ponendo, in proporzioni variabili secondo la ricetta locale, amarene mature intere o snocciolate e zucchero dentro recipienti di vetro esposti al sole per circa 30 giorni, al fine di favorire la fermentazione. 
Al prodotto così ottenuto si aggiunge poi il vino rosso, lasciando macerare e agitando periodicamente il tutto per almeno altri 30 giorni, ma si può arrivare anche a 5-6 mesi. 
Il prodotto è poi filtrato e imbottigliato. In alcuni casi dopo la filtrazione si aggiunge dell’alcool per aumentarne la gradazione. 
In Ciociaria, nella zona vicina all'Abruzzo, viene aggiunta anche qualche goccia di caffè insieme alla cannella ed alla vaniglia. Se ne ricava un liquore dal gusto dolce e piacevole, con una gradazione alcolica variabile secondo la tecnica di produzione: da 7-14% vol. a 20-22% vol. con l’aggiunta di alcool. Il colore è rosso più o meno intenso e ha l’odore caratteristico di amarene e frutti di bosco. 


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È normalmente consumato giovane, per apprezzarne la maggiore freschezza degli aromi. La preparazione e l’uso del ratafià rientrano nella secolare tradizione contadina tramandata di generazione in generazione. 
Il liquore era usato per sancire gli accordi commerciali o la stipula di atti notarili e legali al termine delle trattative.
Il ratafià è stata uno dei liquori principi del '700 e dell' '800. 
Si producono bevande simili in altri paesi europei, specialmente in Spagna, Francia e Svizzera. Il ratafià catalano è quasi la bevanda nazionale al nord della Catalogna.


(foto da internet)

Il termine ratafià potrebbe derivare dal latino rata fiat (da cui l'italiano ratificato, e il francese ractifié), col significato approssimativo di si decida, evidentemente allusiva alla bevuta di questo liquore come suggello di un contratto verbale, atto sostitutivo della più comune stretta di mano.
In piemontese rata fià significa gratta fiato.
Il ratafià è anche citato in una famosa canzone di Paolo Conte: Diavolo Rosso.

mercoledì 15 gennaio 2014

Il ponte della Costituzione



Questo video risale al 2008, anno di inaugurazione del ponte della Costituzione, a venezia, progettato dall'architetto valenciano Santiago Calatrava.

Quel ponte delle polemiche, quarto sul Canal Grande, di cui tanto si è disquisito, porterà il suo progettista in tribunale. Infatti il Comune della città lagunare ha deciso di avviare una causa per risarcimento danni nei confronti di Calatrava. 
A 18 anni dalla donazione del progetto esecutivo e a cinque dall'inaugurazione del'infrastruttura, anni sempre accompagnati da costanti polemiche, la giunta ha incaricato l'avvocatura comunale di procedere contro il progettista valenciano per "inadempimento e accertamenti danni". 


(foto da internet)

Il Comune ha deciso di scendere in campo gli avvocati, perché alcune perizie rivelano alcune carenze nel progetto originale. I danni ipotizzati dovrebbereo ammontare a alcune centinaia di migliaia di euro.   

Il ponte di Caltrava, battezzato dal comune Ponte della Costituzione è costato fino ad oggi circa 12 milioni di euro. 

lunedì 13 gennaio 2014

Luoghi d'Italia (XVII)

A G. Moffa (con affetto)



(foto da internet)

Il nostro viaggio riparte dalla Puglia, in provincia di Foggia, dal borgo di Roseto Valfortore.
Anticamente chiamato Rosito, prende nome dall’abbondanza di rose selvatiche nel suo territorio. Il toponimo Valfortore si riferisce al fiume Fortore che nasce ad est del paese e ne solca la valle.
Il paese è adagiato su un pendio della valle del Fortore, e  si presenta sufficientemente ben conservato. L’impianto urbanistico è di derivazione medievale e le viuzze lasciano intravedere i profumi e gli scorci di verde del vicino bosco Vetruscelli. 
I vicoli (in dialetto stréttole) del centro storico di Roseto partono tutti da Piazza Vecchia. Sono disposti secondo una tecnica di costruzione longobarda: a uno più largo su cui si affacciano le scalinate delle abitazioni, si alterna uno più stretto che funge da raccoglitore di acqua piovana. In fondo a ogni vicolo c’era una porta che veniva chiusa al tramonto, a protezione del borgo.



(foto da internet)

Accanto alla Piazza Vecchia sorge la maestosa Chiesa Madre, costruita nel 1507. E’ da ammirare la balaustra, scolpita in pietra locale da artisti rosetani. Con la stessa pietra sono scolpiti i due sarcofagi gentilizi che la tradizione associa ai nomi di Tuleje e Mmaleje. Di fronte al lato sinistro della Chiesa Madre si nota il Palazzo Marchesale. Di fronte alla scalinata principale della Chiesa Madre c’è l’arco della Terra che serviva da porta principale. In un angolo del muro esterno che sovrasta l’arco, si scorge una testa lapidea che forse raffigura uno dei feudatari di Roseto. 
Nel 1623 l’arciprete De Santis portò a Roseto il culto di San Filippo Neri, diventato poi il patrono del paese. Nella sua abitazione, trasformata in oratorio, si conserva un prezioso busto d’argento del santo.
Al centro del borgo si trova la chiesa del SS. Corpo di Cristo, importante luogo di culto nei secoli XVIII e XIX. Restaurata e ribattezzata col nome di Cristo Re, ora risulta sconsacrata.



(foto da internet)

L´opera degli scalpellini locali rappresenta il patrimonio artistico più importante del paese. Portali, colonne, bassorilievi sono stati realizzati da maestri che per secoli hanno lavorato la pietra della locale cava, situata a sud del borgo.
Il territorio è ricco di sorgenti d’acque e zampillanti fontane, di mulini ad acqua, di aree da picnic, di orologi e meridiane.
La grande quantità di fiori e il tartufo nero che abbonda nei boschi fanno di Roseto la città del miele e del tartufo. La gastronomia del borgo è ricca di cibi semplici e genuini, come il pane, che è buonissimo, e i dolci.


(foto da internet)

Da assaggiare i famosi cecatédde ch’i tanne checuzze: e cioè dei cavatelli fatti con farina di grano duro, germogli teneri della pianta di zucchine, un sughetto di pomodori freschi e un po’ di peperenòle, polvere acre di peperoncini essiccati. 
Buon viaggio!

venerdì 10 gennaio 2014

Contro lo spreco




(foto da internet)

Sono passate le feste e, secondo una stima della campagna Food We Want,  il cibo sprecato a Natale e Capodanno si aggira attorno alla 440 mila tonnellate.
Secondo i dati della suddetta campagna, ogni famiglia, in un periodo di tempo assai corto, butta nella spazzatura ben 50 euro, per un totale di 1,32 miliardi di euro all'anno. 
Visti i risultati dei bilanci recenti, presto l'Italia avrà un piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare.
Si cercheranno di diffondere stili di vita sempre più ecosostenibili, compatibili col portafogli e rispettosi col pianeta.
Una realtà è, però, chiara: comperiamo molto più di quanto in realtà consumiamo. Acquistiamo una quantità eccessiva di alimenti che non mangiamo e che poi buttiamo via, sotto forma di avanzi. 
Trasmissioni televisive, libri, siti web, articoli sui giornali offrono soluzioni contro gli sprechi, promuovono iniziative per aiutare chi ha più bisogno, danno consigli per spendere bene il proprio denaro, eppure invertire questa tendenza non è affatto semplice. 


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Un paradosso, se si pensa alla crisi economica con la quale da anni ci troviamo a convivere. Non consumare il cibo e gettarlo fra i rifiuti significa, oltretutto, sprecare preziose risorse naturali. Si pensi soltanto che per produrre un chilo di carne bovina servono circa 15 mila litri d’acqua. Il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), è stato annunciato dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando
Il prossimo 5 febbraio si riunirà il gruppo di lavoro (coordinato da Andrea Segrè, fondatore di Last minute market e promotore della campagna europea Un anno contro lo spreco). 


(foto da internet)

Last Minute Market ha già avviato un osservatorio che ha individuato alcuni tipi di spreco, tra i  quali ricordiamo il "fanatico del cotto e mangiato"; il "cuoco esagerato"; lo "sperimentatore deluso" e l' "accumulatore ossessionato"... 
Il 5 febbraio 2014 sarà anche la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare. Le celebrazioni non mancheranno (ne siamo sicuri): ma basterebbe solo un po' di buon senso e qualche sana abitudine per cominciare ad invertire la tendenza....
Meditate, gente, meditate!

mercoledì 8 gennaio 2014

Buon Anno!

Ciao a tutti!

Ci ritroviamo puntuali al nostro appuntamento. Forse con qualche chilo in più, ma sempre con una gran voglia di raccontarvi L'Italia, Gli italiani e L'italiano.

Ma prima che i chiodini si mettano all'opera, vi vogliamo augurare buon anno con due canzoni di due cantautori italiani:

Buon Anno di Lorenzo Jovanotti





 e L'anno che verrà di Lucio Dalla,





con l'augurio che sia un 2014 di salute, serenità e pace e...tutto in risalita!!!