venerdì 20 dicembre 2013

Marina




"Marina, Marina, Marina, ti voglio al più presto sposar..." cantava il mitico Rocco Granata, in quel ritornello orecchiabile di una delle canzoni di maggior successo internazionale della fine degli anni '50. 
Marina è stata, nel nostro immaginario collettivo, una ragazza mora, assai carina e un po' difficile... 
E invece, molti anni dopo, veniamo a sapere che Marina non era una donna in carne ed ossa ma una marca di sigarette belga! 
E' stato proprio Rocco Granata a rilevare la notizia: "Mentre cercavo un'ispirazione vidi un poster pubblicitario di sigarette e lì ebbi l'idea, non credo che siano mai entrate in commercio".
Rocco Granata è tornato alla ribalta in questi giorni grazie alla presentazione dell'omonimo film Marina, al Festival Internazionale del cinema di Roma


(foto da internet)

Il regista belga della pellicola Stijn Coninx e il cast, tra cui ricordiamo Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro nei panni dei genitori del giovane Rocco, hanno sfilato sul tappeto rosso dell'Auditorium. 
Il film racconta i difficili anni '50, la scelta del padre di Rocco di emigrare in Belgio dalla Calabria, a Waterschei, piccola città mineraria; la decisione di far arrivare la famiglia, la passione del giovane per la musica, la difficoltà di integrarsi in un paese dove si è sempre stranieri, la dura vita in miniera, il jazz, il sogno di successo sulle orme dell'italo americano Dean Martin.



(foto da internet)

"Il film è piuttosto fedele alla mia vita - racconta Granata, che nel film è interpretato da Christian Campagna (Rocco bambino) e dal belga Matteo Simoni - ci sono i contrasti con mio padre che voleva facessi un altro mestiere, i miei lavoretti come meccanico per pagarmi gli strumenti, l'incontro con il produttore discografico che mi pubblicò il mio primo 45 giri, il successo e la serata a New York al Carnagie Hall".
Rocco Granata, che ha in Belgio anche una discreta carriera di attore, compare nel film in un cameo nei panni del signor Fiocchi, un altro emigrato italiano, commerciante di Bruxelles, che commosso dalla bravura del ragazzo gli regalò la sua prima Stradella
"Nel film si vede che io la compro per 10.000 franchi, in verità me la regalò. Non smetterò mai di essergli grato", afferma il noto cantante.

p.s. Il nostro blog chiuderà per le vacanze di Natale. Torneremo online l'8 gennaio.
Buone feste!



mercoledì 18 dicembre 2013

Un simbolo irrinunciabile del Natale


(foto da internet)

Volenti o nolenti, l’albero di Natale è un’istituzione intoccabile, emblema dell’atmosfera natalizia ma per essere meraviglioso servono tempo e denaro nonché altissime dosi di pazienza in considerazione di tutti quegli aghetti sintetici o veri che si disperdono fra pavimento e tappeti. Senza contare, inoltre, il fatto che le decorazioni vadano fuori moda da un anno con l’altro. E’ possibile salvare la tradizione creando una splendida atmosfera natalizia senza ricorrere alle vecchie e faticose abitudini? Certo che sì. Ecco le migliori proposte alternative in tema di alberi natalizi allo scopo di risparmiare tempo e denaro guadagnando, oltretutto, in originalità.


(foto da internet)

Il cartone, per esempio, è un materiale facilmente adattabile alle esigenze creative, nonché facilmente reperibile; la sua forma semi rigida permette di plasmarlo secondo la fantasia di ognuno con estrema facilità senza ricorrere a strumenti utili per il taglio che potrebbero essere pericolosi per i neofiti del bricolage o per i genitori che vogliono lanciarsi in questa costruzione fai da te con i loro bimbi. Un altro materiale facilmente trattabile è la balsa, una sorta di derivato del compensato molto più sottile e, quindi, facilissima da tagliare senza l’ausilio di archetti da traforo: si può prima colorare e poi modellarla esattamente come con il cartone.


(foto da internet)

Il feltro può rivelarsi il materiale adatto per chi ha buona manualità e un minimo di confidenza con il cucito. Ci si può sbizzarrire con i colori e con la forma dell'abete. Più impegnativo ma foriero di grandissime soddisfazioni è il legno, dal compensato alle tavole più rigide, consigliato per coloro che sono avvezzi ai lavori manuali: permette di sbizzarrirsi, dallo scolpire modelli all’assemblare piccole listarelle di legno a raggiera.


(foto da internet)


Per i feticisti del design si apre, infine, una scacchiera di possibilità alquanto originali e sofisticate: dal minimalismo del filo di ferro alla pulizia di linee del polistirolo sino alla resina. Questi sono soltanto spunti, input per iniziare a considerare materiali differenti che potrebbero regalare risultati inaspettati e aiutare a restituire un’atmosfera natalizia ben diversa.


lunedì 16 dicembre 2013

Luoghi d'Italia (XVI)


(foto da internet)

A Juanvi Santa Isabel, in memoriam

Il nostro viaggio ci porta ancora verso sud, in Basilicata, alla volta di Venosa (Venòse, in dialetto lucano), in provincia di Potenza.
l Romani, nel 291 a.C., strapparono ai Sanniti il dominio della cittadina e ne fecero una colonia. Il toponimo, di origine incerta, viene attribuito a Venere,  dea dell’amore, all’abbondanza e bontà dei suoi vini (vinosa), oppure nelle vene d’acqua di cui è ricca o, ancora, nel clima ventilato (ventosa).
Venosa è famosa per aver dato i natali a Quinto Orazio Flacco, uno dei più grandi poeti dell'epoca antica. 



(foto da internet)

La visita inizia dal  Parco Archeologico, con le terme romane, i resti di domus private e l’anfiteatro. Gli scavi hanno inoltre riportato alla luce una domus patrizia del I secolo d.C. detta Casa di Orazio, le Catacombe ebraiche con una serie di ipogei scoperti nel 1853 (la presenza di una forte comunità ebraica è attestata da numerose testimonianze epigrafiche e artistiche) e un sito paleolitico risalente a un intervallo di tempo compreso tra 600 mila e 300 mila anni fa.
Notevole è anche il Castello aragonese edificato a partire dal 1470 da Pirro del Balzo che veglia ancora sul borgo antico. 



(foto da internet)


Splendida è la Chiesa Incompiuta della Trinità che seduce per il suo non-finito, vero simbolo di Venosa. La rovina è un luogo di raro incanto: non è facile trovare testimonianze di vita romana, ebraica e normanna in un luogo così piccolo, tenute assieme dalla massiccia ma bella architettura benedettina.
Il complesso dell’abbazia della SS. Trinità, di cui l’Incompiuta fa parte, ha origine nel V secolo, con la Chiesa Vecchia impiantata sui resti di un tempio romano, alla quale si aggiunge nel 942, per opera dei Longobardi, il primo nucleo di un monastero benedettino successivamente ampliato dai Normanni.



(foto da internet)


Il ricco patrimonio di chiese del borgo comprende ancora la Cattedrale di S. Andrea, a tre navate, iniziata a metà Cinquecento, la chiesa seicentesca di San Filippo Neri e quella dedicata a San Rocco per aver liberato la città dalla peste nel 1503.
Venosa è ricca di artistiche fontane, tra le quali spiccano per bellezza l’angioina (1228), quella di Messer Oto (1313) e la quattrocentesca fontana di San Marco.
Il borgo vanta splendidi esempi di edilizia civile: tra i migliori, Palazzo Calvino, del XVIII secolo, con la sua elegante facciata e il Palazzo del Balì, iniziato nel XIV secolo, sede dell’ordine religioso dei Cavalieri di Malta.



(foto da internet)

Il prodotto tipico del posto è l’Aglianico del Vulture, un vino rosso celebrato già da Orazio: misurato col cervello e bevuto con il cuore.
Da assaggiare gli strascinati, una pasta fatta in casa con sugo e cacio ricotta grattugiato e le lagane e ceci, delle tagliatelle miste a ceci cotti nella caratteristica pignata.
Buon viaggio!



venerdì 13 dicembre 2013

Natale (per i chiodini)




Cari chiodini piccini piccini (e maestra Pilar) della scuola Santa Anna di Quartell, eccoci al nostro appuntamento con le feste di Natale.
Prima di scrivere una letterina ai Re Magi o a Babbo Natale, prima di fare il presepe, di addobbare l'albero di Natale, vi proponiamo alcuni siti che potrete utilizzare con le vostre maestre a scuola.

  1. disegni da colorare
  2. lavoretti per le feste
  3. fiocchi di neve fatti a mano
  4. origami natalizi
  5. biglietti di auguri
  6. villaggio di natale con tubi di cartone
  7. il pupazzo di neve (contento)
Insomma, vi auguriamo di divertirvi a scuola e di godervi le meritate vacanze.
A presto!

mercoledì 11 dicembre 2013

Un ventennio "trash"

(foto da internet)
Secondo il dizionario della lingua italiana De mauro-Paravia trash, in lingua inglese, significa spazzatura. Il termine inglese è entrato nell’uso anche in italiano per riferirsi a espressioni artistiche o forme di intrattenimento di basso profilo culturale; per esempio, l’espressione “cinema trash” ha significato analogo a “cinema di serie B” di spettacolo, manifestazione artistica o genere musicale, che attinge da quanto è considerato di pessimo gusto, di bassa qualità, anche come scelta estetica deliberata. 
Il critico d'arte Philippe Daverio non ha esitato a definire trash l'ultimo ventennio italiano, i cui maggiori simboli sono stati Silvio Berlusconi e Checco Zalone.


 


Il cavaliere l'eredità la lascia e  come...,






invece Checco Zalone, seppur a modo suo, almeno ci lascia una risata!!!

lunedì 9 dicembre 2013

Luoghi d'Italia (XV)


(foto da internet)

Dal Lazio il nostro viaggio prosegue verso sud, in Campania, alla volta di Sant'Agata de' Goti, in provincia di Benevento.
Il borgo fu dedicato a Sant’Agata nel VI secolo dai Goti. Il paese si erge su una terrazza di tufo tra due corsi d’acqua, affluenti del fiume Isclero che formano un intreccio di profondi valloni. La pianta della città antica, che si sviluppa alle falde del monte Maineto, è a semicerchio e misura 1 km di lunghezza, sufficiente a contenere un patrimonio di palazzi storici, chiese, elementi architettonici, epigrafi, sparsi sulla strada principale e nei vicoletti che confluiscono dalla parte estrema del costone tufaceo alla terrazza di Largo Torricella.
La visita inizia con la chiesa dell’Annunziata, fondata nel 1239: l’abside è duecentesco, ma l’edificio, rifatto nel Quattrocento, è nel suo insieme gotico. 




(foto da internet)

Da largo Annunziata si passa a una piazza irregolare che prende tre nomi diversi, dove si trovano a destra i resti del castello eretto dai longobardi e ampliato dai normanni, e a sinistra la chiesa romanica di San Menna, consacrata nel 1110 da Papa Pasquale II. Il suo tesoro più grande è il mosaico a figure geometriche che riveste il pavimento del XII secolo.
Dal ponte sul torrente Martorano si possono ammirare le case del centro storico quasi a precipizio sul torrente; riprendendo la via, si raggiunge la chiesa di Sant’Angelo in Munculanis. Sorta su preesistenze romane, conserva l’ingresso originario con le due colonne longobarde che sorreggono il campanile. Poco distante, si trova la chiesa settecentesca di Santa Maria di Costantinopoli, con l’attiguo monastero delle Redentoriste. La chiesa riporta un’epigrafe funeraria romana del I secolo a.C., la prima di una serie di testimonianze espresse in epigrafi o su cippi, visibili lungo tutto il percorso urbano. 


(foto da internet)

Procedendo per via Roma, dopo i portici ricavati sotto il monastero delle suore di clausura del Santissimo Redentore, si incontra la chiesa di San Francesco, consacrata nel 1282. La perla della chiesa è il monumento funebre di Ludovico d’Artus, conte di Sant’Agata, morto nel 1370: otto colonnine tortili binate sostengono il sarcofago su cui giace il defunto, contornato da un baldacchino in stile gotico retto a sua volta da due colonne tortili. Dal campanile della chiesa si possono ammirare i tetti del centro storico e la città nel suo insieme.



(foto da internet)

I prodotti tipici del territorio sono il vino Falanghina, il bianco Dop di Sant’Agata de’ Goti, la mela Annurca, una delle varietà più pregiate dell’intera Campania e l’olio extravergine di oliva. Si produce anche vino Aglianico di buona qualità.
Da assaggiare le mappatelle all’annurca, una pasta con ripieno formato da mela annurca e altri ingredienti locali.
Buon viaggio!

venerdì 6 dicembre 2013

Cravatta addio?



(foto da internet)

Dopo ben 4000 anni di vita, sembra proprio che l’era della cravatta stia per finire.
Infatti, l’accessorio più inutile, scomodo e duraturo, è in crisi Chiudono i negozi specializzati e i giovani la ignorano. 
Gli affari non vanno bene, la concorrenza dei centri commerciali di abbigliamento è spietata, ma la vera ragione della chiusura è un’altra: la cravatta non la porta più nessuno e sembra proprio che la cravatta abbia fatto il suo tempo. 
Anche il premier Cameron non se la mette più nemmeno quando deve incontrare Obama... 
In Italia si porta ancora in determinati lavori, in Parlamento, ma le speranze di un'inversione di tendenza  sono assai scarse.
Per sapere che cosa i giovani pensano della cravatta, basta guardare quei bambini inglesi che sono obbligati a indossarla con l’uniforme scolastica: la portano sulla schiena, o annodata con il più insolente dei nodi, o nascosta dentro la camicia. 
Alcune grandi ditte come Amazon, Google, Microsoft, eBay, hanno liberato da tempo i dipendenti dall’obbligo della cravatta e anche gli uffici più tradizionalisti hanno adottato il casual Friday, il venerdì in cui ci si può vestire come si vuole. 



(foto da internet)

Se la moda o l’abbigliamento avessero qualcosa di razionale, bisognerebbe ammettere che non ci sono molte ragioni per portare una cravatta e che pochi accessori sono più scomodi. Eppure gli uomini la indossano da quattrocento anni, da quando i mercenari croati di Luigi XIV sfilarono per Parigi con i loro foulard annodati al collo, subito adottati dal re e dalla corte con il nome di sciarpa croatta, e da lì in cravate


(foto da internet)

Nel corso dei secoli, la cravatta è diventata il modo migliore per farsi un’idea di una persona quando la si incontra. Se è allentata sul collo, se è troppo corta, se il nodo è malfatto, se non c’entra nulla con il resto dell’abbigliamento,  se è sporca, abbiamo una sensazione di disordine e di inaffidabilità, un avviso a essere diffidenti. 
Va agli inglesi il merito di farne il capo più significativo di un uomo elegante. Ai sudditi di Sua Maestà va l'onore di aver trasformato un pezzo di stoffa di circa 150 cm di lunghezza in un capolavoro: quasi tutti i nodi (vedi>>)  della cravatta hanno nomi inglesi, dal semplice Four In Hand ai sette passaggi del St. Andrew, fino agli otto dell’ingombrante e impossibile Windsor. Negli Anni '20 era considerato un accessorio casual e lo si indossava per giocare a golf, cavalcare o scalare montagne. O per sottolineare l’appartenenza a un club o a un reparto militare. 



(foto da internet)

E che dire poi della cravatta a farfalla, chiamata anche, un po' altezzosamente, papillon? Un simbolo attribuito ai futuristi, agli anarchici e ai rivoluzionari in genere, componente essenziale nella tenuta in smoking o frac. Nell'immaginario collettivo resta ancora il capo che contraddistingueva, molto tempo fa, un architetto, un artista o un professore universitario?

mercoledì 4 dicembre 2013

Il talent show degli scrittori

(foto da internet)

È iniziato lo scorso 18 novembre Masterpiece, programma di Rai3, che applica il meccanismo del talent show a un genere mai esplorato prima in questo ambito e da sempre fra i più ostici all'adattamento in forma televisiva: la letteratura. 

La prima fase si articolerà in sei puntate in seconda serata, di domenica, in ognuna delle quali sarà selezionato un finalista scelto a partire da una rosa di scrittori esordienti che l'estate scorsa hanno mandato il loro manoscritto alla produzione del programma; i sei finalisti, scelti ogni volta attraverso una serie di prove (la valutazione preliminare della loro opera, una prova di scrittura veloce e un colloquio con una personalità forte dell'editoria), accederanno alla seconda fase del programma che andrà in onda da febbraio 2014, in prima serata, se il format risulterà all'altezza. Il vincitore finale si aggiudicherà la pubblicazione del proprio romanzo da Bompiani con una tiratura di 100mila copie. 

A giudicare i partecipanti, in pieno stile talent, tre scrittori per molti versi molto differenti fra loro: Massimo De Cataldo, Andrea De Carlo e Taiye Selasi.

(foto da internet)

Inutile dire che l'opportunità di trasformare un programma televisivo con la complicatissima aspirazione a divenire scrittori ha diviso in maniera decisa i commentatori, anche prima della partenza del programma: "Si possono tollerare talent show sulla musica, il canto, la danza, la recitazione, la cucina, e perfino gli sport di squadra (sì, ce ne fu anche uno sul calcio, tempo fa), ma non sulla scrittura: la letteratura no, no. Altrimenti poi che fine fa lo scrittore o l'aspirante tale? Quello che abita in un faro isolato dal mondo, e la notte si alza dal letto folgorato dalla musa, si prepara due napoletane di caffè Hag e scrive rapito dal demone fino alle prime luci dell'alba. Mica lo possiamo mandare in video uno così. (...) La verità è che la levata di scudi contro il talent degli scrittori fa da valvola di spurgo per un pensiero che da sempre in Italia è sotteso a qualsiasi argomento riguardi l'intrattenimento puro: è il male assoluto. (...) E infatti l'Italia è l'unico Paese in cui la letteratura (così come il cinema) di consumo si preoccupa costantemente di apparire autoriale". 

Come dice Fillioley, l'idea di Masterpiece è quasi sovversiva, perché strappa la comunicazione della letteratura ai suoi ambienti preposti che spesso l'asfissiano, riconsegnandola a una dimensione che può veramente dimostrare come i libri possano essere popolari, senza che questo divenga per forza una taccia ineliminabile. 



 Il programma è un format originale, innovativo, per una volta tutto italiano. È stato voluto e difeso dal direttore di Rai3 Andrea Vianello e ha creato qualcosa che prima non c'era (cosa rara per la tv italiana). Così com'è pensato, il talent fa conoscere a fondo gli scrittori, non solo quelli che vorrebbero esordire ma anche i giudici stessi. Anche se la letteratura è poco presente (i concorrenti, ma non tutti, leggono appena un paio di righe del loro romanzo) e spesso prevale la biografia degli autori. Poi le vite degli scrittori al centro della prima puntata avevano più o meno tutte dei risvolti drammatici (l'anoressia, la prigione, il disagio psichico ecc.), in un ambivalente rinnovo del cliché dello scrittore maledetto che però si coniuga inevitabilmente alla spettacolarizzazione televisiva del dolore.
Insomma, si può pure

essere scrittori anche senza essere "casi umani", se si vuole utilizzare l'espressione ricorrente sui social network fra i commentatori più duri del programma. 


lunedì 2 dicembre 2013

Luoghi d'Italia (XIV)


(foto da internet)

Dal Molise al Lazio, alla volta di Campodimele, in provincia di Latina.
Il nome del borgo deriva dal latino Campus Mellis, e cioè campo di miele, perché un tempo c'era un'abbondante produzione di miele. Il paese si snoda sui monti Aurunci, nel cuore di una fitta selva, roccaforte naturale di pastori e boscaioli, arroccato e con una struttura architettonica circolare e compatta, il cui punto più alto è costituito dal campanile della chiesa parrocchiale. Le abitazioni degradano verso il basso determinando una struttura a forma di cono di cui la cinta muraria costituisce la base. 


(foto da internet)

Campodimele si caratterizza per un tessuto urbano tipicamente medioevale, con piazzette su cui si affacciano abitazioni che mantengono volumi omogenei, ricche di incanto, sorte su viuzze dove il colore bianco e grigio dei selciati, è in armonia con la forma e i materiali delle facciate. L'antico frantoio, la piazza con l'olmo secolare, il belvedere, la pietra delle case fanno pensare al piccolo e semplice mondo di una volta. 
La migliore visione del borgo è quella aerea perché fa risaltare la forma circolare della struttura medievale con le mura intervallate da dodici torri. La cinta muraria con le torri è tutelata dai Beni Culturali ed ha la caratteristica di essere abitata. La fortificazione è sorta nel secolo XI come baluardo e punto d'avvistamento della sottostante strada della Valle del Liri



(foto da internet)

Se si percorre il camminamento esterno alle mura, si può godere di una visione completa dei monti del pre-Appennino. Il suddetto percorso pedonale, dopo i lavori di restauro, è stato via dell'amore
In paese si può visitare la chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo, sorta nel secolo XI. Vi si trova un quadro firmato da Gabriele da Feltre nel 1578. 
Antichissimo è il convento dell'anacoreta Sant'Onofrio, costruito nel secolo XI dai Benedettini per volontà dell'abate Desiderio, poi eletto Papa Vittore III nel 1087. 
Notevole è pure la cappella rurale della Madonna delle Grazie, risalente al XIII secolo e situata a mezza costa, in località Taverna. È costruita in pietra viva e, dopo il restauro conservativo, è tornata alle sue caratteristiche originarie. 
I prodotti tipici del borgo provengono da un'agricoltura povera, come le gustosissime cicerchie e favette, che sembrano essere alla base della longevità degli abitanti di Campodimele. 
Il prodotto simbolo è la cicerchia - una leguminosa apprezzata già in tempi remoti in Medio Oriente - lo scalogno, le lumache, le olive locali, il capretto dei monti Aurunci. 



(foto da internet)

Il piatto della tradizione è laina e cicerchie, una pasta fatta in casa con sola farina e acqua, senza aggiunta di uova, condita con le cicerchie cotte con sugo di pomodoro, cipolla, aglio, brodo, e servita con ricotta essiccata di capra. 
Famosa è anche la zuppa di cicerchie, un piatto semplice e sano, tipico di Campodimele. Preparazione: si mettono in ammollo le cicerchie la sera prima, l'indomani si lessano a fuoco lento per circa un'ora insieme a prosciutto, aglio e scalogno, e infine se ne versa il contenuto sulle fette di pane aggiungendo mezzo cucchiaio di olio d´oliva per piatto.
Buon viaggio!