venerdì 28 ottobre 2011

L'ITALIA VISTA DA...

(foto da internet)



Como aún soy principiante en este maravilloso idioma que es el italiano, aportaré mi experiencia en Italia en la lengua castellana dando alguna pincelada en italiano ...



Fui a Milano hace 24 años en diciembre da sola. Sono andata a trovare degli amici, que me enseñaron todos los sitios importantes ... Recuerdo haber visitado la fachada de La Scala, El Mercado y por supuesto il Duomo con sus gárgolas... También hubo mucho callejeo, cena en trattoria-pizzeria, reunión con familiares y la típica lasagna della mamma... Allí no tuve problemas para entenderme con la juventud ... la mayoría hablaba inglese, pero me gustó tanto ensucharles y me frustré tanto intentando entender un idioma tan musical que decidí que algún día aprendería a hablar italiano ...



(foto da internet)

Mi segunda visita tuvo lugar el verano de 2010...

Mi marido y yo fuimos a la Toscana durante una semana con Toñi y Juan. Visitamos muchos lugares como Pisa, Volterra, San Gimignano, Siena, y por supuesto Firenze... Nos hospedamos en un chalecito senza lavatrice en Cecina, un pueblo muy parecido a Puerto de Sagunto... El problema fue que nadie entendía el inglese... Me mantuve muy callada durante la visita cuando quedábamos con los amigos de Toñi y Juan... era un verdadero problema no poderme expresar. Probé el Cacciuco... Tuve mi experiencia divertida en una peluquería y en las cafeterías, pero decidí que ya no esperaría un momento más....


(foto da internet)


Dovevo imparare l'taliano!

Un saludo, Cristin A. Reimers

mercoledì 26 ottobre 2011

Un ricordo

(foto da internet)

Il mondo dello sport e non solo è rimasto attonito dopo l’annuncio della morte del pilota italiano Marco Simoncelli. Tutti abbiamo visto Marco, Marchino, Sic, così lo chiamavano gli amici, scaraventato sulla pista di Sepang a faccia in giù, disarcionato dalla sua due ruote tecnologica in maniera atroce. Proprio lui che negli ultimi tempi in più di un’occasione era stato così duramente criticato per il suo pilotaggio azzardato, al limite, quasi incosciente. Quello che non voleva perdere, che rischiava fino all’ultima curva, era sulla pista, con il corpo immobile, i riccioli al vento, il casco numero 58 sgretolato e rotolato. Frattura delle vertebre cervicali, segno di una gomma sul collo, cuore in choc, ferite alla testa e al torace.

(foto da internet)

In realtà, forse, è stata solo colpa di una passione che era rimasta bambina, anche nella guida, da quando aveva otto anni e correva sulle minimoto. Marco era stato criticato dagli altri, da Lorenzo e da Pedrosa, per il suo stile casinista e sfrontato. Si raccomandavano i commissari prima della gara: «fai il bravo». Ma stavolta Marco non c'entra, non ha sbagliato manovra, anzi ha cercato di restare in sella, con il gomito e il ginocchio sull'asfalto, con la moto inclinata. Così è morto un pilota di Motogp: investito, schiacciato, travolto dai suoi compagni e dal compagno più amato, in una domenica mattina. Marco Simoncelli aveva 24 anni. Era un ragazzo, ma, in fondo, ragazzi lo sono tutti lo sono tutti, il motociclismo non è per vecchi. Gli sono passati addosso l'americano Colin Edwards e Valentino Rossi che lo avrebbe colpito in testa con la ruota anteriore. Marco è finito sotto. Due botte da 170 chili l'una. Solo sfortuna, non colpa, visto che i due piloti che l'hanno investito non avevano visuale. Ma per The Doctor non sará facile assimilare di essere passato sul corpo dell'amico, che aveva guidato, consigliato, protetto. È stato il destino a fargli travolgere il suo futuro, quelli che tutti dicevano sembrasse il nuovo Rossi.

(foto da internet)

Marco era di Riccione, viveva a Coriano, accanto a Rimini, Valentino di Tavullia. Stessa aria, stessa voglia di strapazzare curve e rettilinei, quel pezzo di Romagna che nel biberon mette benzina. Marco veniva preso in giro: parli come Rossi, hai i riccioli come aveva Rossi, fai lo spiritoso come Rossi. Una fotocopia, che metteva allegria. Un ragazzino che tutti sgridavano, anche alla Honda, come ha detto il vicepresidente, ma per simpatia, per incitarlo a fare meglio, perché puntavano su di lui. L'erede di Rossi.

Quel ragazzo che quando si toglieva il casco aveva i capelli arruffati e sudati. E che è morto senza casco, slacciato da un colpo involontario.

lunedì 24 ottobre 2011

Andrea Zanzotto (in memoriam)



(foto da internet)

"Che cosa si capisce della vita dopo 90 anni? Niente", affermò il poeta Andrea Zanzotto, il 10 ottobre scorso, in occasione del suo 90esimo compleanno. È scomparso in questi giorni, il poeta che difese il paesaggio dalla devastazione urbanistica a tappeto, che non accettò mai l'ideologia leghista. Disse, in un'intervista a La Stampa: "La Padania non esiste, il popolo padano neppure". È sempre vissuto nella cosiddetta Marca trevigiana, la terra amata, cantata e mai abbandonata, che nel tempo è stata deformata dallo sviluppo e da un benessere che ha abiurato la 'venetitudine' del lavoro umile e silenzioso.
Andrea Zanzotto incarnava questi valori. La Beltà, raccolta di versi pubblicata nel 1968 e considerata ancora oggi la sua opera fondamentale, venne presentata da Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini e consacrò Zanzotto al grande pubblico.
Zanzotto era il poeta delle cose semplici ma complesse, affiliato secondo la critica come continuatore della linea ungarettiano-ermetica. Un poeta delle parole cesellate e comprese dal loro interno. Mai magniloquenti ma sempre cariche di forza.

Zanzotto studiò a Treviso, poi all'Università di Padova dove si laureò in Lettere. Insegnò per anni a Valdobbiadene. Arruolato nel 1943, partecipò alla Resistenza veneta nelle file di Giustizia e libertà.



(foto da internet)

Dagli anni '60 iniziò il percorso poetico che lo condurrà a collaborare a numerosissime riviste letterarie, tra cui Il Caffé che riuniva letterati come Calvino, Ceronetti e Volponi. Nel 1976 Zanzotto iniziò a collaborare con Federico Fellini al Casanova. Con il cineasta riminese, Zanzotto scrisse anche la sceneggiatura de La città delle donne e, posteriormente, E la nave va del 1983. In quell'anno Zanzotto pubblicò un'altra opera fondamentale: I Fosfeni.
Gli ultimi anni vedono Zanzotto al lavoro sulla lingua veneta. Nel 2005 pubblicò i Colloqui con Nino , una sorta di introspezione nel passato e nell'educazione sentimentale.

La poetica di Andrea Zanzotto è fortemente innovativa, presenta un linguaggio pulito e recupera fonemi ascrivibili a un linguaggio infantile ma al contempo colto, con amplissime e frequenti incursioni nell'universo semantico del greco classico.

Vi proponiamo un testo poetico di Andra Zanzotto:


L'attimo fuggente

Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell'incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m'affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E, puro vento, sola neve, ch'io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v'ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l'immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami.
È questo il sospiro che discrimina
che culmina, "l'attimo fuggente".
È questo il crisma nel cui odore io dico:
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell'anno.


venerdì 21 ottobre 2011

L'ITALIA VISTA DA... Slavko Zupcic

(foto da internet)







SIMPLES MARAVILLAS




Casi todos los recuerdos que conservo del año que me tocó vivir en Italia están vinculados a la comida a pesar de que yo en esa época creía que me dedicaba exclusivamente al trabajo. Había tenido mucha suerte, eso decían mis amigos, y un equipo de fútbol de la Basilicata me había contratado como médico deportivo. No voy a hablar del Cristo de Carlo Levi aunque mucho lo leí en esos días, pero tampoco de la pasta, los latticini, la buena carne ni los dulces exquisitos.
Quiero recordar en estas líneas dos maravillas que me permitió conocer Armando, el propietario del equipo, en cuya casa debía comer todos los domingos.
La primera: "la pesca col vino".





(foto da internet)





Mientras comíamos, después de la pasta y antes del segundo plato, zio Armando sacaba una botella de vino de su propia cosecha, retiraba el corcho y la ponía a respirar. Cuando las berenjenas y la carne ya habían desaparecido, llenaba las copas hasta la mitad y comenzaba a quitarle la cáscara a dos melocotones amarillos en un gesto repleto de respeto y cariño, por lo que yo tenía que abortar cualquier intento de higiénico reproche.
Vedi, si fa cosi —decía mientras hacía caer trozos de melocotón en cada copa—. Adesso, devi aspettare: due, tre, quattro minuti.
Mientras el tiempo pasaba, probábamos los dulces que iban llegando a la mesa. Ya al final, antes del café —en verdad habían pasado, veinte o treinta minutos— cada uno cogía una cucharilla y empezábamos a sacar y comer los trozos de melocotón
Enriquecido, el melocotón había ganado al menos dos meses más colgado del árbol de la vida y se convertía de golpe y porrazo en el sabor más corposo de toda la comida. Lo masticábanos lentamente como si fuese la carne de un animal noble y a cada rato zio Armando interrumpía su rito deglutorio para cantar las maravillas de la fruta local.
Madonna mia, come è buona questa pesca.
Luego atacábamos el vino. Era como venir de vuelta, deconstruyendo el sabor del melocotón, también el del vino, convirtiéndolos a los dos en uva dulce pero con un toque amargo un poco y a nosotros en armadores de un barco ebrio.
Ti piace, vero?
Claro que sí, me gustaba muchísimo. Así, el rito podía multilplicarse por dos o tres.






(foto da internet)





—Pure oggi abbiamo mangiato —interrumpía la nonna y señalaba el café.
Sì, pure oggi abbiamo mangiato — repetía alguna voz en el fondo, quizás en la cocina.
Finalmente, era zio Armando quien cerraba cualquier intento de discusión y levantaba la sesión pronunciando las palabras mágicas de cada domingo:
Tarallucci e vino.
Ésa es la segunda maravilla a la quería referirme hoy. Tarallucci e vino. Los taralli —una suerte de rosquilleta torcida, pero mucho más sólida y especiada— mojados en vino. No se trataba de una nueva invitación a la comida, sino de que zio Armando usaba la expresión para señalar que todo había transcurrido bien, felizmente.
Se refería a una felicidad máxima, terrenal y sublime al mismo tiempo, la del goce de estar en la mesa conversando en familia y comer tarallucci e vino mientras el tiempo pasa, el tarallo se ablanda y el vino humedece sus poros y nuestras papilas.
Tarallucci e vino. Si los delanteros no se hubieran lesionado, el equipo no habría descendido a la Serie C y yo me habría quedado en sus sabores para siempre.




Slavko Zupcic

mercoledì 19 ottobre 2011

C'era una volta...




(foto da internet)










Molto spesso ai miei studenti faccio vedere video con canzoni italiane degli anni ’60. A parte alcune eccezioni, preferisco i video di Celentano, Mina, Modugno ecc...

L’anno scorso, a fine anno scolastico, invitai a lezione un amante della cultura italiana e lui ci parlò dell’Italia degli anni '60, di Pasolini, di un paese colto, arrabbiato, affascinante e con tanta voglia di tutto…

Allora capii che i video con cui bombardo, spesso (ovviamente, non sempre) i miei alunni rispecchiano un paese in cui sono cresciuta che è diretto erede di quella visione che si ha dai filmati: educato, colto, simpatico, divertente senza essere volgare, sempre con la battuta pronta e bello, anzi bellissimo.









(foto da internet)






C’era una volta, quindi, un paese educato, gentile, dall’ambiente ospitale, dove il turista straniero era coccolato e vezzeggiato dagli italiani, che ne attendevano tutto l'anno l'arrivo. Probabilmente la realtà non sarà stata esattamente quella raccontata dal cinema di quegli anni, ma il Belpaese era rinomato tra gli stranieri proprio per la calorosità del popolo italiano, oltre che per il clima e le bellezze naturali.






(foto da internet)





E c’era una volta sempre lo stesso paese noto al mondo per la sua gloriosa storia di arte e di cultura, dove, però, nel tempo si sono andate consolidando delle usanze incomprensibili agli stessi cittadini, o meglio alla maggioranza di essi, che hanno portato, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, una rassegnazione che se non si era figli di…, se non si era presentati da… e se si aveva fiducia solo nelle doti professionali non si riusciva a raggiungere nessun obiettivo.






Per gli ingenui, sarebbe arrivato, alla soglia dell’eta adulta il monito dei genitori, sotto veste di “consiglio”, che ricordava a quei giovani che sarebbe stato meglio abbandonare le proprie velleità: il sacrificio di pagare anni di tasse universitarie o vivere di una miserrima borsa di studio valeva al massimo l’ottenimento di un posto da precario, visto che il sistema della casta, in realtà, non sarebbe mai stato finalizzato alla creazione di un’economia in crescita, ma semplicemente al mantenimento del privilegio.








(foto da internet)



Allora, noi chiodini, ci siamo chiesti cos’è che realmente affascina dell’Italia. Nella scorsa primavera, la stampa inglese, almeno per una volta, rese merito all’Italia con una classifica, una scelta ragionata fatta dal quotidiano britannico The Independent, in cui si elencavano quindici tipicità italiane «esportate», per le quali l'Italia è apprezzata (o comunque conosciuta, se il motivo della fama non è positivo) nel mondo. L'articolo, è una sorta di lista commentata, che spazia da Claudia Cardinale e Federico Fellini a Roberto Baggio e Caruso, passando per «il dolce far niente», le auto (non solo Fiat e Ferrari, ma anche Maserati, Lamborghini e Bugatti), e i gondolieri veneziani (anche se servirsi di loro costa un occhio della testa).




(foto da internet)






Come dimenticare, poi, Francesco Petrarca o Dante , Giacomo Casanova o Leonardo da Vinci, il gelato (inventato dalla famiglia fiorentina dei Medici) o il latino (sarà anche «una lingua morta», che però, ha ancora molte espressioni attuali: p.es.: «annus horribilis», «ad hoc»)? Insomma in questa classifica c’è di tutto: dai soliti e forse inevitabili stereotipi alla gloria del passato, dall’Antica Roma al cinema, alla canzone, al calcio. E se si è dimenticato qualcosa, gli attenti lettori hanno segnalato la gastronomia, il Vaticano, Antonio Gramsci e Machiavelli, la Ducati, il bunga bunga e il Duomo di Milano.






(foto da internet)




Ce n’è davvero di tutti i colori.




Con l'ambizione di non cadere negli stereotipi, dal nostro Chiodo ci farebbe piacere aprire uno spazio intitolato: “L’italia vista da…”, in cui ci potete raccontare la vostra esperienza con questo paese così affascinante e complicato…, e lo potrete fare nella lingua in cui preferite: italiano, castigliano, catalano, inglese, tedesco, russo, cinese ecc.
La rubrica “L’Italia vista da…” andrà on-line il venerdì e cominceremo venerdì prossimo. Scriveteci a italianosagunt@gmail.com e pubblicheremo con sommo piacere il vostro punto di vista, affinché questa rubrica possa essere arricchente per tutti.


Aspettiamo le vostre collaborazioni!

Grazie

I chiodini

lunedì 17 ottobre 2011

Di gastro-bande e di cuochi sopraffini


(foto da internet)

In Spagna è stata appena sgominata una gastro-banda che era diventata lo spauracchio degli chef iberici più celebri e che, negli ultimi due mesi, avevano svaligiato i locali più famosi della Spagna. La banda era composta da sette malavitosi provenienti dall'est europeo, che da marzo scorso aveva preso di mira i ristoranti più chic del paese!
Ne avevano fatto le spese, Pedro Subijana, proprietario di Akelarre, ristorante nei Paesi Baschi che anche quest'anno è stato insignito delle tre stelle Michelin, Martin Berasategui, che gestisce il locale omonimo nel comune di Lasarte-Oria, sempre nei Paesi Baschi, e anche il celebre Juan Mari Arzak, che possiede un rinomato ristorante che porta il suo nome a San Sebastián. Nel frattempo, in Italia, l'Espresso ha lanciato la 34esima edizione della sua guida gastronomica. Nella guida c'è solo una donna al top: l'ispiratrice dei menù dell'Enoteca Pinchiorri di Firenze, la magnificamente Annie Feolde, che quest'anno, in coincidenza con la conferma del suo locale a quota 18.5/20, ha inaugurato la direzione delle cucine del St. Regis, il palazzo del Brunelleschi affacciato sull'Arno appena restituito alla città come hotel cinque stelle.


(foto da internet)

In vetta alle classifiche si trova la Lombardia, mentre crescono Piemonte e Campania.
Dal sud provengono le buone nuove gastronomiche rappresentate dai ristoranti Duomo di Ragusa, La madia di Licata, Torre del Saracino di Vico Equense - confermati a 18/20.
C'è sempre il barbuto, e televisivo, Gianfranco Vissani, che fa la sponda tra la casa-madre di Baschi e la nuova avventura di Altamura, dove insieme al figlio Luca sta riportando in vita l'Antica Masseria delle Murge, sequestrata alla criminalità organizzata.
Davanti a tutti, anche quest'anno, c'è stabilmente il modenese Massimo Bottura, il quale tra un premio e un altro, dopo la presentazione della guida, celebrata per il secondo anno nel mercato di San Lorenzo di Firenze, ha pensato bene di trascinare i colleghi Tre Cappelli lungo le stradine del centro storico fiorentino, alla ricerca del mitico panino col lampredotto!

venerdì 14 ottobre 2011

Il Bon ton della parola



(foto da internet)







«Andiamo a passeggio: ho voglia di una cazzata siciliana e poi voglio vedere se trovo un bel paglio di scarpe». Salta all’occhio, anche a uno straniero, che questa frase è grammaticalmente scorretta. Eppure non è strano vederla scritta nella bistrattata, e sempre più barbara, lingua di Dante.



Tutti questi strafalcioni sembrano essere gli inconvenienti della comunicazione al tempo di Facebook, quelli che il linguista Stefano Bartezzaghi mette al centro del suo pungente e spassoso saggio "Come dire" (edito da Mondadori), che va inteso non solo come l'abusato tormentone per prendere tempo nei momenti di afasia, ma anche in senso letterale, come un galateo e bon-ton della parola.








(foto da internet)







Secondo lui oggi, come nell'abbigliamento - dove dal vestito della festa si è passati alla tuta forever - anche nel linguaggio c'è uno scivolamento in basso. Se fino a poco tempo fa il "tu" era usato solo con parenti, bambini e amici intimi, e il turpiloquio solo con amici intimi e mai con persone di sesso opposto, adesso il "tu" è debordante, il turpiloquio è una presenza constante in Parlamento e anche le mamme con neonati dicono moltissime parolacce. Nei new media si trascurano ortografia e sintassi, che sempre più inseguono il linguaggio parlato, cercando l'effetto e la semplificazione a tutti i costi. Le sfumature non interessano più a nessuno!








(foto da internet)







Nell'era della comunicazione globale anche il rischio di dimostrare la propria ignoranza cresce a vista d'occhio. Su Facebook è nato un gruppo che si chiama "Scartare corteggiatori e potenziali amanti per gli errori di grammatica", che mette in fila perle come queste: "E' nel mio carattere: quando qualcosa non va, io sodomizzo", piuttosto che "Ho un nuovo paglio di scarpe" e "Come stai? Sempre l'ostesso".
E ancora: i ristoranti sfoggiano leziosi menù lunghi come romanzi, in cui il budino è una "formella di biancolatte con pioggia di cacao forte, stille di caramello e ribes nero", o tradotti male ("dessert: la cazzata siciliana").






(foto da internet)







Una curiosità: persino dar il nome a un figlio sarebbe per l'autore "uno dei contributi alla lingua nazionale più importanti che un cittadino medio può dare". Ebbene, se nel boom economico andava il nome con un sound di prestigio, tipo Massimiliano e Sebastiano, l'esotismo dei Settanta ha prodotto Katia e Samantha fino agli odierni Kevin, Ariel e, il più bello, Maikol(sì, scritto proprio così). In realtà, è tutto sintetizzato nei nomi di una delle più celebri famiglie italiane, gli Agnelli. Il capostipite era Giovanni, poi Gianni e John, che, a sua volta, i suoi figli l'ha chiamati Leone e Oceano.



Noi, invece, rimaniamo legati alla tradizione e ci vogliamo chiamare Ugo!



lunedì 10 ottobre 2011

Italy, love it or leave it


(foto da internet)

Il gioco di parole del titolo è anche un documentario "Italy, love it or leave it", appunto, che racconta il nostro paese. La questione è abbastanza chiara: vale ancora la pena restare a vivere in Italia? Domanda metafisica on the road che, attraverso un viaggio a bordo di una Fiat Cinquecento rosso fiammante, due giovani registi italiani si pongono per cercare di capire se è meglio fare le valige o rimanere.
Gustav Hofer, altoatesino, e Luca Ragazzi, romano, si sono dati giusto sei mesi di tempo per deciderlo e nel documentario hanno attraversato l’Italia in macchina, per scoprire se valesse la pena lasciare Roma, dove vivono insieme da 12 anni, per trasferirsi a Berlino.
Il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti al Milano Film Festival e sarà presente al festival di Rio de Janeiro. Il trailer su YouTube e Vimeo, in due settimane, è stato visto oltre 25mila volte.


“Questo paese è un gerontocomio”, affermano i due amici registi. E rincarano la dose: “negli ultimi tre anni abbiamo visto tanti nostri amici lasciare l’Italia. Alcuni sono andati a Londra, altri in Nuova Zelanda e Germania. Per questo abbiamo voluto raccontare l’Italia che normalmente non viene rappresentata. Né al Tg1 né nelle fiction”.

Luca e Gustav, iniziano il loro viaggio alla Fiat di Settimo Torinese, con gli operai che vivono con mille euro al mese. Poi incontrano gli ex dipendenti, oggi disoccupati e in cassa integrazione della Bialetti, che ha deciso di delocalizzare tutta la produzione in Romania.
Con Carlo Petrini di SlowFood smontano il luogo comune della cucina italiana, e scendono fino a Rosarno per documentare le condizioni di sfruttamento in cui versano gli immigrati. Eppure a questi squarci drammatici fanno da contraltare gli imprenditori che lottano in Calabria e sfidano la ‘ndrangheta, la società civile che denuncia l’abusivismo edilizio ed è impegnata nell’antimafia. E oltre a questi segnali di reazione, i due registi intravedono negli avvenimenti politici degli ultimi mesi la volontà degli italiani di voltar pagina.




(foto da internet)

Vivere in Italia oggi non è facile secondo i due giovani registi, ma il cambiamento, secondo loro, è alle porte. E per averlo bisogna reagire: “Quello che i giovani devono fare è smettere di sottostare alle cattive abitudini imposte da chi vuole ancora rimanere al comando. Bisogna dire no al lavoro gratuito, rifiutarsi di firmare a nome di un professore un articolo scritto di proprio pugno. Basta farsi fottere da questa classe di vecchi al potere”. Messaggio per i trentenni: visto che dal basso le cose stanno cambiando, “non lasciate il paese o il vostro posto ve lo occuperà chi volete combattere”.
Meditate, gente, meditate.

venerdì 7 ottobre 2011

LaCapaGira


(foto da internet)

Cari chiodini vicini e lontani, vi segnaliamo un'interessante iniziativa del regista Alessandro Piva.
Piva, nato a Salerno nel 1966, ha studiato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma ed ha ottenuto il Premio Solinas per due sceneggiature nel ’92 e nel ’93. Ha preso parte, come documentarista, a interessanti reportage in Italia, Africa, Sudamerica, Sud Est Asiatico e Medio Oriente.
Come regista di cinema ha girato due lungometraggi: LaCapaGira, presentato al Festival di Berlino e vincitore del David di Donatello 2000; Mio Cognato, presentato al Festival di Locarno 2003.
Ha girato lo spot Puglia perfetta, per la campagna di Nichi Vendola alle elezioni regionali del 2005 in Puglia, è stato premiato al Galà della Politica nello stesso anno.
Piva si è altresì impegnato in campagne sociali per il progresso e la cultura nel Mezzogiorno, come la recente iniziativa Perotti Point legata all’abbattimento dell’ecomostro Punta Perotti sul lungomare di Bari.
È attualmente membro dell’Accademia del Cinema Italiano.


(foto da internet)


L'iniziativa che ci/vi riguarda è quella di mettere a disposizione degli amanti del cinema il download gratuito del suo film LaCapaGira.
La pellicola in questione, girata nel 1999, è ambientata a Bari, in un inverno particolarmente freddo. Una banda della piccola malavita fruga nel giorno e nella notte della periferia, alla ricerca di un prezioso pacchetto spedito dai Balcani e destinato a non giungere mai alla sua ultima meta. Il pacchetto contiene un materiale che ci permette di gettare lo sguardo su un sottobosco cittadino frastagliato e sorprendente.
Per il corretto download, seguire le seguenti istruzioni>>.
Buon divertimento!

mercoledì 5 ottobre 2011

Una storia lunga 25 anni

(foto da internet)




Chissà se mentre sfrecciava sulla Vespa di Gregory Peck tra le strade della città eterna per il film di William Wyler che le avrebbe dato tanta popolarità (e un Oscar) Audrey Hepburn sapeva dentro di se che Roma sarebbe diventata la sua seconda casa.
Nata in Belgio, cresciuta in Olanda, trasferita prima a Londra e poi negli Stati Uniti, la Hepburn aveva trovato in Italia un porto sicuro. Quando l'attrice si cominciò ad allontanare dai riflettori, Roma, forse anche grazie alla sua indolenza, le permise di godere tranquillamente dei suoi tempi e dei suoi spazi.



(foto da internet)



In occasione del 50° anniversario di Colazione da Tiffany di Blake Edwards, che torna sul grande schermo restaurata, e in contemporanea con il Festival Internazionale del Film di Roma, per la prima volta la capitale celebra Audrey Hepburn con una mostra-omaggio per celebrare i i 25 anni vissuti dall'attrice nella città eterna: "Audrey a Roma. Esterno giorno" al Museo dell'Ara Pacis, dal 26 ottobre al 4 dicembre 2011. L'assessore capitolino alla Cultura e al Centro Storico Dino Gasperini che ha presentato la mostra ha detto: «Appassionata visitatrice, frequentatrice di salotti, madre di famiglia la Hepburn ha goduto la città nella sua dimensione di persona ed era giusto quindi che finalmente Roma a quella grande persona prima ancora che grande diva dedicasse il suo omaggio». In 25 anni Audrey ha condiviso con Roma momenti cruciali della sua carriera artistica, da Vacanze romane e Guerra e pace a La storia di una monaca e nella capitale ha vissuto molti anni di vita familiare, a stretto contatto con la città e con i suoi abitanti.






La mostra è curata dal secondo figlio di Audrey Hepburn, Luca Dotti. Una selezione di scatti inediti, quasi rubati ripercorreranno il personale ricordo del rapporto tra l'attrice e Roma. Un video esclusivo rivelerà momenti della vita privata lontana dalle scene. Le immagini della mostra saranno accompagnate da alcuni abiti e accessori da Givenchy a Valentino, insieme ai tanti abiti che rappresentano il modo di vestire di quel periodo e gli abiti indossati dalla Hepburn nella vita di tutti i giorni.


(foto da internet)






I tre percorsi tematici percorrono il «Lavoro sul set» trenta film di cui tre a Roma: Vacanze romane di William Wyler consacrò l'attrice alla fama mondiale e fece della Vespa un simbolo per il mondo intero. Guerra e pace di King Vidor è ancora oggi considerato come uno dei più grandi kolossal storici, e l'attrice recitò con il marito Mel Ferrer nel suo primo film a colori. La storia di una monaca di Fred Zinnemann osannato da critici e pubblico, regalò alla Hepburn il suo ruolo prediletto.
La sezione «Sotto i riflettori» presenta le prime, le serate di gala, le premiazioni ufficiali. Mentre «Lontano dalle scene» è il percorso che riguarda l'attrice nel suo ruolo di mamma e moglie, una volta abbandonato quasi del tutto il cinema, dimostrando che si può essere una grande star anche solo passeggiando per strada, portando a spasso il cane, facendo la spesa, comprando il giornale a braccetto con il marito, per mano ai figli, dal fioraio o facendo shopping.







Un tributo alla grande star nella "sua" Roma che servirà a raccogliere fondi per il progetto di lotta alla malnutrizione infantile sostenuto dal Club Amici di Audrey per UNICEF, a cui la stessa Audrey ha dedicato una parte importantissima della sua vita in qualità di Ambasciatrice di buona volontà. L'integrazione nel prezzo del biglietto, infatti, sarà interamente devoluta in beneficenza all'UNICEF.