venerdì 30 aprile 2010

La Festa dei Serpari


(foto da internet)


Cocullo è un piccolo paese della provincia de L’Aquila sito ai piedi del monte Luparo. Il primo giovedì di maggio vi si tiene La Festa dei Serpari, una delle feste abruzzesi più antiche.
Da secoli i fedeli si recano in pellegrinaggio al Santuario di San Domenico da ogni parte dell’Abruzzo, e delle regioni vicine, per guarire da ogni sorta di malattie, e specialmente da morsi di vipere, cani idrofobi e dal mal di denti.
Nelle settimane precedenti la festa i serpari (nel passato i serpari erano prevalentemente contadini e pastori, oggigiorno sono stati sostituiti dai giovani del paese) si dedicano alla cattura dei rettili.
Le specie di serpi presenti nel rito di Cocullo sono innocue, e il loro morso provoca solo una lieve irritazione. Dopo la cattura vengono custodite con estrema cura fino al giorno della festa. Un tempo su riponevano in recipienti di terracotta, attualmente in cassette di legno.
Dopo la celebrazione i serpari liberano i rettili nel loro ambiente, ma un tempo venivano uccisi davanti alla chiesa e sepolti vicino al paese.
Il giorno della festa, i fedeli raggiungono la chiesa cantando inni religiosi al suono delle zampogne in onore del Santo.
All'interno della chiesa si svolgono dei rituali particolari: il primo di essi consiste nel suonare una piccola campana tirando la cordicella con la bocca come buon augurio contro il mal di denti per tutto l'anno seguente, il secondo, invece, consiste nel raccogliere terra benedetta della chiesa che verrà poi sparsa per i campi come protezione contro gli animali nocivi.
A mezzogiorno, dopo la funzione religiosa, dalla chiesa muove in processione la statua di San Domenico, coperta di ori e argento degli ex-voto.
All'uscita dalla chiesa i serpari cingono la statua di rettili. Il corteo è preceduto dal clero e da ragazze in costume che recano i ciambelli, dei dolci tipici preparati per la ricorrenza.
Dei serpenti vivi sono attorcigliati anche attorno al collo e alle braccia dei serpari e dei fedeli che sfilano lentamente cantando tra due ali di folla.
Dal comportamento delle serpi gli abitanti di Cocullo ricavano auspici: se le serpi si avvolgono intorno alla testa del Santo, allora è buon segno e la folla applaude contenta.


(foto da internet)

Secondo la tradizione, San Domenico si fermò a Cocullo, attorno all'anno 1000, per breve tempo, lasciando alla chiesa locale un suo molare e il ferro di una sua mula che sono conservati tuttora come reliquie: il ferro di mula ha il potere di guarire dalle morsicature degli animali, mentre il dente dai morsi di vipere e serpi velenose.
In Abruzzo le serpi sono molto comuni, e nei tempi antichi il morso dei rettili era frequente causa di morte.
La Festa dei Serpari risale ha tradizioni antichissime: già i Marsi, popolo di pastori e pescatori che vivevano sulle montagne e lungo le sponde del lago del Fucino, adoravano la dea Angizia, dea dei serpenti, il cui culto rimase in epoca romana. C'era nei pressi di Luco dei Marsi un bosco detto lucus Angitiae, sacro alla dea, alla quale all'inizio della primavera venivano offerte delle serpi come atti propiziatori.



(foto da internet)

Nel corso del Medioevo la religione marsa scomparve ma le credenze di poteri magico-terapeutici sui serpenti velenosi e, per estensione, sui cani arrabbiati, si trasferirono attrraverso la religiosità popolare soprattutto nella figura di guaritori, chiamati ciarauli (secondo la tradizione, il ciaraulo era il settimo figlio, nato il 25 gennaio, che avrebbe avuto la capacità di incantare i serpenti e di curare i morsi di vipera) che conoscevano i segreti per catturare i serpenti e per immunizzare dal loro morso.
Il serpente ha sempre rappresentato, nella mentalità popolare, il pericolo, l'immagine mitica del male. Lo stregone, il guaritore, il santo patrono, garantiscono la vittoria sul serpente.
San Domenico, quindi, è l'immagine della salvazione dai morsi dei serpenti ma anche, metaforicamente, della salvazione universale contro tutti i mali del mondo.

mercoledì 28 aprile 2010

I misteri del campanile di Pietrasanta


Foto da Internet

Il campanile del Duomo di Pietrasanta ha custodito per anni due segreti sorprendenti:
  1. la canna interna della struttura, apparentemente tradizionale all’esterno, riprodurrebbe fedelmente ma in negativo le forme della celebre Colonna Traiana di Roma;
  2. l’autore del progetto non è Donato Benti, l'architetto che portò a termine l'opera, ma il suo maestro Michelangelo Buonarroti.
Una cosa è chiara: il campanile è opera di un genio! La tesi del professore Gabriele Morolli, ordinario di architettura all’Università di Firenze e specialista in Michelangelo Buonarroti, sostiene che con ogni probabilità si tratta di un progetto di Michelangelo le cui caratteristiche straordinarie lo rendono difficilmente riconducibile ad un comune architetto. Il progetto è stato ideato con il preciso scopo di produrre, grazie alle campane, una stupefacente colonna sonora: il suono autentico di una colonna di marmo. Spiega Morolli:
L’inedita struttura interna del campanile è scavata da una grandiosa scala a chiocciola autoportante, sempre in mattoni, che sale alla cella campanaria con tre avvitamenti e un centinaio di gradini… Una colonna di vuoto - ha affermato Morolli - celata nel cuore del campanile, che riproduce esattamente, sotto il profilo sia delle dimensioni, sia delle proporzioni (stessa altezza, stesso diametro, stesso modulo generatore del vuoto interno), il "pieno" marmoreo della colonna romana. Quale architetto trattava allora l'architettura come una vera e propria scultura, chi aveva avuto contatti con tali conoscenze e modelli costruttivi se non Michelangelo, presente a Pietrasanta proprio negli anni in cui il campanile fu costruito? Insomma, chi ha progettato quella scala coclearia auto-portante aveva una grande cultura, un'acuta sapienza tecnologica costruttiva e una sorprendente conoscenza delle forme dell'arte edificatoria classico-romana.

Se volete saperne di più, guardate questa interessantissima puntata di Voyager.

lunedì 26 aprile 2010

Buon compleanno Roma

(foto da internet)






Conoscete la leggenda della nascita di Roma? Ebbene, secondo la leggenda, il 21 aprile 753 a. C. nasce la città eterna.
Perciò, mercoledì scorso, la città ha celebrato il compleanno con tutti gli onori. Oltre trenta gli eventi organizzati, oltre a visite grautite di musei e siti archeologici. In serata lo spettacolo «RoMagnificat - Suoni e luci per raccontare le storie di Roma», e poi i fuochi d’artificio che hanno disegnato gli anelli olimpici nel cielo sopra la terrazza del Pincio, per salutare la candidatura romana alle Olimpiadi del 2020. Durante la giornata ci sono state diverse esibizioni delle bande musicali dei Vigili Urbani e dell’Esercito, mentre autobus e tram sono stati addobbati a festa per l’occasione.




(foto da internet)



All'Ara Pacis invece, sono iniziati i lavori della «Conferenza internazionale per la promozione del Consiglio per la Dignità, il Perdono e la Riconciliazione», che colloca Roma, in particolare l'Ara Pacis Augustea, al centro di un articolato progetto dedicato alla dimensione umana della pace. Il luogo, che sarà ristrutturato con l'abbattimento del muro, è anche candidato all'incontro tra il premier palestinese e quello israeliano.


Non ci resta che ricordare alcune immagini di una città così splendida sulle note di Antonello Venditti!



venerdì 23 aprile 2010

Cha barba! Che noia!



(foto da internet)

Non sapremmo come definire Raimondo Vianello e Sandra Mondaini: un duo comico, due metà complementari?
Hanno portato sui piccoli schermi gli irresistibili battibecchi della loro vita quotidiana (e della nostra). Nella loro camera da letto si tenevano i combattimenti coniugali: Raimondo leggeva assorto l'immancabile Gazzetta dello sport e Sandra sbuffava e tirava calci alle lenzuola.
Sono stati il nostro specchio. In loro ci siamo rivisti; in loro abbiamo (ri)trovato due familiari. Ci hanno fatto ridere e ci hanno permesso di riconoscere i nostri difetti, Né piú, né meno.
Raimondo, nel fisico e nelle movenze, ricordava un po' certi attori anglosassoni, ma nel salotto di casa Vianello incarnava il perfetto italiano: l'uomo sempre alla ricerca disperata della scappatella, bugiardo, incline al tradimento, ma troppo pigro per praticarlo. Era un pantofolaio flemmatico, sottile e sornione. Raimondo (ri)costruiva il suo mondo su fantasticherie impossibili per poi rimanere inchiodato a Sandra, la donna insostituibile.
La sua comicità era paradossale e innovativa, era fondata sulla leggerezza e sull'educazione. Con modi assai garbati Vianello ha saputo dar vita a un personaggio originale, quello del borghese perbene e discreto alla prese con i problemi della quotidianità. I suoi dialoghi spesso surreali con la Mondaini fanno parte, a pieno diritto, del nostro immaginario collettivo.
Prima di legare il suo nome a quello di Sandra Mondaini, Vianello aveva fatto coppia fissa con Ugo Tognazzi, da lui ancora più diverso. Insieme, in anni ormai lontanissimi, avevano oltrepassato i limiti della tv.
Nel 1959 i censori della Rai bloccarono il loro varietà Un, due, tre, per la clamorosa parodia di una caduta, senza parole, come nel cinema muto. Ma a cadere, nella realtà, era stato il presidente della Repubblica Gronchi, in occasione di una visita ufficiale di De Gaulle.
I solerti censori sarebbero anche stati disponibili al perdono, ma, come ha raccontato lo stesso Vianello, all’incontro di pacificazione, quando i dirigenti Rai chiesero ai due comici che cosa avrebbero fatto nelle puntate a venire, a Raimondo scappò una battuta: "Avremmo pensato di fare qualcosa sul papa…". Uno scherzo che segnò la morte definitiva di Un, due, tre, il varietà che aveva attuato il passaggio dalla rivista alla tv.
Raimondo Vianello iniziò a lavorare in teatro con partner quali Carlo Dapporto, Macario, Gino Bramieri, e soprattutto Ugo Tognazzi, con cui formò coppia fissa.
Negli anni Sessanta, le apparizioni televisive ripresero accanto alla moglie Sandra Mondaini, che, come lui, era dotata di una verve comica che ne faceva una partner perfetta. Nacque così la riconoscibilissima ditta Raimondo & Sandra. Sono loro due i protagonisti di Studio Uno, a metà degli anni Sessanta e poi, nei primi Settanta, di Sai che ti dico?, Tante scuse, e più avanti, nel 1977 di Noi...no.


(foto da internet)

Dopo l'avvento delle tv private, Vianello fu uno dei primi divi a trasferirsi in casa del Biscione: lo ricordiamo, ad esempio, come conduttore del programma Il gioco dei Nove. E soprattutto nelle sit-com Casa Vianello e Cascina Vianello, che sulle reti Fininvest, poi diventate Mediaset, sono state un appuntamento fisso per il grande pubblico.
Le reti berlusconiane utilizzarono il suo talento, la sua capacità di sdrammatizzare gli animi più accesi, anche nelle trasmissioni sportive, come ad esempio Pressing.
La Rai lo richiamò, nel 1998, per affidargli la conduzione del Festival di Sanremo. Vianello condusse una trasmissione elegante, distaccata, senza volgarità e senza esagerazioni.
Vianello va ricordato anche per le sue non frequentissime interpretazioni sul grande schermo, due delle quali accanto a un genio della risata come Totò: una, da semi-esordiente, in Totò Sceicco; un'altra, da star della tv ormai affermata, in Totò Diabolicus (1962, vedi>>).
Ma torniamo al ring-letto in cui i coniugi Vianello lottano tutte le sere: Sandra si lamenta col marito della vita che conduce. Ripete in maniera ossessiva: "Eh, ma qui non succede mai niente, che barba! Che noia!", e scalcia contro le coperte.
Lo stesso calcio di protesta vorremmo lanciare da queste pagine per la morte di Raimondo Vianello.

mercoledì 21 aprile 2010

Ludi Saguntini 2010

Il nostro dipartimento partecipa alle giornate di Cultura Classica di Sagunto Ludi Saguntini 2010, rappresentando l' EOI di Sagunto. Il nostro intervento si terrà oggi alle ore 12:00 presso la Plaza Cronista Chabret. Eccovi un piccolo assaggio di ciò che proporremo.

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Foto da Internet

lunedì 19 aprile 2010

C'erano una volta i Beatles e... ci sono ancora!

(foto da internet)



Quarant’anni dopo lo scioglimento dei Beatles, l’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, riabilita i Fab Four. Il giornale del Vaticano ricorda li ricorda come degli scapestrati, dei musicisti disinibiti, spacconi ma anche come artefici di un’inestimabile eredità musicale. Dunque, perdonati!!!, in nome della dea musica.
Certo, non può non sorprendere l'atteggiamento, alquanto strano, del quotidiano che, negli ultimi mesi non è estraneo a "esplorazioni" nel mondo della cultura pop, da Elvis e Bruce Springsteen a Tex Willer.

Non erano solo canzonette come affermavano i detrattori? Si precisa nell'articolo: «Tutto vero! Che nessuno pensi ai Beatles come a dei geni assoluti della composizione e neppure, in fondo, come a dei virtuosi dei rispettivi strumenti. Ma resta il fatto - conclude l'articolo - che dopo 38 anni dallo scioglimento, le canzoni con il marchio Lennon-McCartney, hanno mostrato una straordinaria resistenza all'usura del tempo, divenendo fonte di ispirazione per più di una generazione di musicisti pop».






(foto da internet)



Da ricordare che alle origini del poco affetto delle alte gerarchie cattoliche - oltre ai valori musicali e generazionali rappresentati dai Beatles negli anni Sessanta - c'è soprattutto una dichiarazione di John Lennon. Il grande artista, in un'intervista off the record rilasciata nel 1966, pubblicata in seguito, definì nel 1966 il suo gruppo «più popolare di Gesù Cristo». Oggi, invece, l'Osservatore ha definito quella frase «solo una spacconata di un giovanottone della working class di soli 28 anni» e celebrato i Beatles e "l'eredità inestimabile" lasciata nel loro campo di espressione. «L’Osservatore Romano – dice Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano – commentò che in realtà non era nulla di scandaloso. Il fascino di Gesù era tale che attraeva anche questi nuovi eroi del tempo». Ma il "perdono"della Santa Sede non suscita l’entusiasmo di Ringo Starr.




(foto da internet)

In un’intervista l’ex Beatle commenta la presa di posizione del giornale e dichiara: «I couldn't care less», e cioè "non me me potrebbe fregare di meno". Il batterista, dunque, non si commuove alla notizia del "perdono" e, intervistato dalla Cnn, ha ricordato come all'epoca i vertici della Chiesa cattolica avessero definito i membri del gruppo «satanici o possibilmente satanici», e i conti non gli tornano: «Eravamo satanici e adesso ci perdonano?», ha commentato. «Credo che la Santa Sede abbia altre cose di cui parlare».

venerdì 16 aprile 2010

Il re dello swing (in memoriam)



(foto da internet)

Mentre eravamo in vacanza, è scomparso un grandissimo interprete della musica italiana: Nicola Arigliano, un vero e proprio idolo per gli amanti del jazz e dello swing.
Arigliano fece parte, negli anni '50, di un interessante gruppo di cantanti swing, tra i quali fanno spicco Natalino Otto (ascolta>>) e Alberto Rabagliati (ascolta>>).
Tra i maggiori successi di una lunga carriera divisa tra il jazz e le apparizioni in tv, ricordiamo le canzoni Un giorno ti dirò, Amorevole, I sing ammore, Devi ricordare, Permettete signorina, Arrivederci, Simpatica e 20 km al giorno.
Nel 1958 partecipò a Canzonissima e, successivamente, si fece notare in un programma televisivo dal titolo Sentimentale, condotto da Lelio Luttazzi, al quale partecipava, come ospite fisso, al fianco di Mina.
L’omonima sigla diventò un disco di successo, inciso da entrambi i cantanti in due versioni differenti.
Arigliano conobbe anche un certo successo grazie alla sua apparizione nello spot del digestivo Antonetto (vedi>>).



Con squisita ironia introdusse il jazz in Italia e ci fece conoscere alcune stupende canzoni americane, come ad esempio, Sixteen tons, cantata con la sua particolarissima voce bassa.
Da anni era ospite fisso ad Umbria Jazz.
L’ultima sua apparizione pubblica era stata a Sanremo, nel 2005, dove aveva presentato il brano Colpevole, che vinse il premio della critica.
Sul palco del teatro Ariston ricevette da Pippo Baudo un diploma con un disco d'Oro per il suo album My name is Pasquale.
Da qualche tempo, a causa delle cattive condizioni di salute, teneva esclusivamente piccoli concerti, quasi in forma privata, nel Salento, dove abitava in un centro per anziani.
Ci piace ricordarlo con la sua immancabile coppola in testa, naïf innamorato della grande musica americana.
Grazie per averci insegnato il jazz. Ciao Nicola!


mercoledì 14 aprile 2010




Se andate a Firenze non potete fare a meno di assaggiare il famoso lampredotto. Il lampredotto è un piatto regionale tipico di Firenze. Molti anni fa, era il cibo degli operai che lavoravano in strada. La sua presenza, nell’alimentazione fiorentina, risale al XV secolo. Il principale ingrediente è costituito dalla trippa cotta di mucca.
È tipico mangiare il lampredotto per la strada. Si può acquistare nei numerosi chioschi che si trovano in città , specialmente nel centro storico.  Si condisce con il sale, il pepe e con una salsa verde.  Se davvero vuoi sentirti fiorentino, almeno per un giorno, quando assaggerai questo panino unico al mondo, chiedi al venditore di condire il pane con il sale e con il pepe. Se ti chiede: “bagnato?”, rispondi affermativamente: in questo modo, bagnerà la parte superiore del panino nel brodo di cottura del lampredotto.

La piccola Babele italiana



Babele o Babilonia in italiano hanno lo stesso significato: una confusione straordinaria. Secondo la Bibbia infatti fu durante la costruzione della torre di Babele quando si verificò la confusione delle lingue. Ma che razza di Babilonia avete combinato? in italiano avrebbe dunque una connotazione chiaramente negativa, anche se tutti sappiamo che la coesistenza di diverse lingue e culture significa ricchezza, crescita e rinnovamento.



In provincia di Imperia, a metà strada tra il confine francese e il mare, sorge Airole, un borgo medievale di appena 480 abitanti. Ben visibili al turista che visita il villaggio 18 bandiere nazionali, tante quante sono le lingue che si parlano in questo comune, di cui il 30 per cento degli abitanti sono venuti dall’estero. Il comune vanta un doppio primato: è il comune più multietnico della penisola e, contrariamente a quanto avviene nella maggioranza dei comuni italiani, gli immigrati comunitari superano gli extra-comunitari. Un arcobaleno di lingue, colori e nazionalità: dal barista tedesco al parroco indiano, dal giardiniere inglese alla badante peruviana. sono soltanto alcuni degli immigrati che hanno ripopolato un borgo che circa 40 anni fa sembrava destinato a sparire. Le prime pagine di questa storia multietnica furono scritte da due artisti olandesi: Hermanus Gordijn, pittore, e Ondine Buytendorp, scultrice, che subirono il fascino di questa cittadina abbandonata dopo la guerra e decisero di ristrutturarla. Seguendo il loro esempio arrivarono altri cittadinidell’Europa del Nord come tedeschi, belgi o norvegesi, e anche tanti airolesi emigrati sulla costa fecero ritorno.





La caratteristica peculiare del fenomeno Airole consiste nell’estrema eterogeneità dei paesi d'origine degli abitanti stranieri, non c’è in pratica il predominio di una nazionalità su di un’altra. Il fenomeno ha suscitato l’interesse delle maggiori testate giornalistiche nazionali ed è approdato persino al Tg1.